Carissime
sorelle, carissimi fratelli, il mo intervento, verificato
comunitariamente in CnS, deve focalizzare una serie di argomenti che vi
vado ad enucleare e dei quali tratteremo in dettaglio se pur in maniera
sintetica, comunque propositiva: diocesi e parrocchia nella nuova
formula proposta dalla CEI della pastorale integrata, evangelizzazione e
missione del RnS nella Chiesa, le sfide che pone il mondo e la nostra
risposta nella logica spirituale e intellettuale della Cultura della
Pentecoste.
L’ultima assemblea
generale dei vescovi italiani tenuta ad Assisi dal 17 al 20 novembre
scorso è stata dedicata alla parrocchia; la prossima assemblea tirerà le
somme di questo primo lavoro, ma già sono tracciate alcune linee
essenziali.
L’idea di base è che nella
parrocchia devono essere concentrati tutti gli sforzi missionari che la
chiesa può esprimere e quindi cominciare a cambiare la mentalità degli
animatori parrocchiali e degli stessi parroci da una dimensione tutta
formativa, interna, statica e legata al governo del popolo di Dio e
all’amministrazione dei sacramenti, verso una nuova comprensione del
loro impegno in parrocchia intesa come luogo di missione; la svolta non
è di poco conto, tanto è vero che nell’assemblea dei vescovi si è
parlato di una conversione pastorale che deve interessare tutto il
clero, vescovi in testa, catechisti, religiosi, laici organizzati in
associazioni e movimenti o impegnati a titolo personale. Quindi una
formazione che guarda alla missione, finalizzata alla missione, in vista
della missione; non solo verso i nuovi residenti in Italia di religione
non cattolica, ma soprattutto verso quei cattolici che hanno perduto
ogni riferimento alla fede e perfino ai vincoli religiosi, morali e
culturali dell’essere cattolico; gente che va completamente
rievangelizzata o evangelizzata realmente, visto che il catechismo fatto
da bambini non ha per nulla inciso nella vita del singolo fedele, non
avendo fatto scattare quella consapevolezza sincera che fa il cristiano,
che lo forma alla vita e lo rende saldo e capace di affrontare le sfide
del mondo.
In questo contesto si
parla oramai di unità pastorale: è una nuova organizzazione super
parrocchiale che assume denominazioni diverse in base alle differenti
tradizioni ecclesiastiche delle diocesi italiane, ma che ha la finalità
di individuare un territorio più ampio della parrocchia dove può essere
organizzata una qualche forma di attività missionaria e di
evangelizzazione che veda il parroco in prima fila. Si tratta di una
piccola rivoluzione che avrà i suoi tempi, normalmente lunghi per la
chiesa cattolica italiana, ma che nella lenta maturazione darà
sicuramente i suoi frutti.
Quali devono essere i
nostri atteggiamenti come corrente di grazia, associazione e movimento
che opera attivamente nelle diocesi e nelle parrocchie italiane? Con
quale spirito e con quali modalità dobbiamo essere, in modo equilibrato,
presenti in questo contesto che sarà decisamente concreto e che non
potrà essere affrontato nell’improvvisazione o peggio non considerato
affatto?
Certamente
possiamo porci oggi di fronte a questa chiamata, come a quella profetica
chance che veniva indicata nel RnS da Paolo VI nel 1975; oggi quella
profezia si può realizzare in questa forma concreta di attività diretta
nelle parrocchie perché c’è un’esigenza verificata e un bisogno che solo
una potente azione carismatica può soddisfare ed esaudire. Siamo in
1.800 gruppi e comunità in tutta Italia, le parrocchie più di
trentamila, c’è un’enormità di spazio per noi e per tutti i movimenti
ecclesiali; vale la pena di dire che la messe è molta e gli operai sono
pochi, pochissimi, quindi non può esserci assolutamente spazio per
gelosie fra di noi cattolici, semmai solo collaborazione e il concorrere
e gareggiare nello zelo per la dimora del Signore che va ripopolata di
tanti fratelli e sorelle battezzati che hanno smarrito l’indirizzo di
casa.
Altro aspetto che dovremo
puntualizzare è l’atteggiamento dei sacerdoti e dei parroci in modo
particolare: nessuno dica più, e nel RnS non lo diciamo mai, che un
parroco appartiene ad un movimento in modo esclusivo: questa è
un’indicazione chiara che arriva dai nostri vescovi. Le simpatie
spirituali e anche l’aiuto specifico, sia pastorale che personale, che
un parroco può chiedere al RnS è cosa diversa dall’appartenere in via
esclusiva e sopratutto totalizzante, cosicché nessuno altro in quella
parrocchia possa avere legittimazione di entrare e lavorare. Quindi a
nessuno, di nessun movimento o associazione, è concesso di appropriarsi
della parrocchia: a tutti deve essere garantita la presenza per poter
agire e lavorare per la vigna del Signore.
Ugualmente importante è il
livello di formazione di base, quello dell’iniziazione cristiana degli
adulti che va riproposto con forza. Per noi può esser il “seminario di
vita nuova”, che dovrebbe essere sviluppato in tutte le parrocchie
italiane insieme ad altri percorsi o cammini di altri movimenti. Questo
deve essere accolto e permesso insieme alla possibilità, per ciascuna
realtà ecclesiale, di avere un minimo spazio di formazione e di incontro
per far vivere la propria esperienza e svilupparsi in autonomia. Non
diciamo di sostituire le iniziative del RnS a quelle della chiesa tutta,
ma di avere quei tempi di incontro e di crescita necessari perché il
movimento viva e si diffonda a beneficio della chiesa stessa. Questo
livello di formazione per la missione deve essere garantito a livello
diocesano dal vescovo e questa libertà è nella nostra stessa
approvazione canonica per cui nessun parroco può ingerirsi e comandare
nei gruppi dando indicazioni diverse da quelle date dai responsabili per
quanto attiene la vita interna all’associazione. Abbiamo un lavoro di
promozione e di crescita perché la ricchezza e la specificità bella del
Rinnovamento non sia mortificata in modo arbitrario; dove sbagliamo
vogliamo essere corretti in totale obbedienza, ma dove vediamo operare
il pregiudizio lì dobbiamo cercare, sempre nella comunione fraterna e
nella pace, di difendere la libertà e la verità. Gruppi e comunità
costretti a chiudere o allontanati dalle parrocchie senza ragione,
diaconi ai quali viene chiesto di lasciare l’impegno nel Rinnovamento,
seminaristi costretti a dimenticarsi di chi li ha generati, religiosi ai
quali viene negato di servire il Rinnovamento nel quale è maturata la
loro vocazione: sono fatti che ci addolorano, per i quali non vogliamo
ne giudicare, ne tanto meno condannare nessuno, di fronte ai quali non
possiamo tacere, ma cercare di correggere e far crescere chi ci impone
una decisione o un comportamento frutto di arbitrio e costrizione e non
di amore. Non vorremmo poi fare, delle nuove unità pastorali che
raccolgono da due a più parrocchie, una nuova struttura burocratico
clericale. Non deve servire per moltiplicare gli incontri di formazione
o semplicemente organizzativi, ma per favorire forme di collaborazione
che mettendo in campo le energie migliori, rinnovi nelle forme, nella
preghiera, nell’entusiasmo che coinvolge tutte le iniziative missionaria
possibili, senza limitarsi all’evangelizzazione classica dei fanciulli o
di coloro che si accostano ad un sacramento, anche perché questa
formazione catechistica tradizionale viene purtroppo vissuta come una
tassa da pagare per accedere ai sacramenti. Bisognerebbe approfittare di
queste occasioni per portare una fede vita e radicalmente scelta, che
faccia conoscere Gesù e non soli precetti religiosi, che faccia
innamorare i cristiani a Dio per non farli sentire parte di una chiesa
stanca e rassegnata, ma che faccia conoscere il Mistero e apra al
piacere della preghiera e al desiderio della vita nuova scelta per
amore.
Un altro dato è quello
della formazione specifica o di settore. Qui dobbiamo essere sempre più
attenti alle iniziative ecclesiali comuni, con l’impegno di portare lo
specifico che abbiamo maturato nel RnS. Certamente sarà sempre meno
possibile, in futuro, che ogni realtà ecclesiale sviluppi una propria
pastorale di settore; dovremo essere tutti orientati verso i settori
della nuova e della vecchia evangelizzazione, ma in alcuni campi
cercheremo di iniziare percorsi comuni: l’incontro periodico fra i più
grandi movimenti nato spontaneamente per iniziativa comune di Chiara
Lubich, Andrea Riccardi e Salvatore Martinez dopo lo storico
appuntamento dei movimenti in piazza San Pietro col Papa nel 1998, il
nostro impegno nella Consulta delle Aggregazioni Laicali sia a livello
nazionale che regionale e diocesano, sono tutti segni che concorrono in
questa direzione; ma anche la nostra partecipazione agli uffici CEI, la
collaborazione con alcuni dicasteri vaticani a cominciare dal Pontificio
Consiglio per i Laici, la nostra iscrizione al Forum delle Associazioni
Familiari, l’amicizia nata con tante realtà cattoliche impegnate nel
sociale come il Sermig o il Movimento per la Vita, sono conferme del
grande sforzo compiuto dal Rinnovamento per creare collaborazione ed
unità fra i cattolici italiani. In questi contesti unitari nessuno può
imporre modelli, lo stile deve essere quello dell’ascolto e del dialogo
nella ricerca di una visione comune perché tutti concorrano con pari
dignità, secondo i propri carismi e le proprie forze, nello stile
proposto dal Concilio Vaticano II; di fronte alla sintesi unitaria si
deve procedere insieme e senza riverse come un sol corpo. Per questo c’è
bisogno di tanta crescita, maturità e sincerità ed è chiaro che non
basteranno i soli nostro sforzi , ma sarà necessaria tutta la potenza
dello Spirito Santo che andrà continuamente implorato per la costruzione
di una chiesa veramente unita nel cuore, nella mente e nelle opere, e
che è la chiesa che sogniamo e che desideriamo con tutto noi stessi; il
Rinnovamento non è nato per giudicare la chiesa, nei i suoi vescovi,
sacerdoti e laici, ma per servirla aiutandola a rinnovarsi alla luce del
Concilio: questa è la nostra sfida per l’evangelizzazione nella chiesa,
questa è la nostra croce e il nostro martirio: rinnovare il popolo di
Dio in tutte le sue espressioni, ma soprattutto nel cuore e nella fede.
Per questo abbiamo bisogno anche di far progredire i nostri gruppi nella
scoperta dell’esperienza carismatica che è qualcosa di più di qualche
canto ben fatto o canto in lingue o apertura della Bibbia. Il
Rinnovamento carismatico è l’accettazione dell’attività storica dello
Spirito Santo che opera in assoluta originalità e libertà; poi è la
risposta dell’uomo che mette in campo tutte le sue energie e dice sì
alla richiesta di Dio per comunicare il Vangelo ad ogni creatura.
In questa prospettiva è
necessario anche per noi una sincera revisione pastorale riorientandola
in senso missionario. Troppe volte abbiamo rinunciato di fronte a
sollecitazioni e intuizioni che il Signore ci ha fatto arrivare per le
strade più incredibili, purché potessimo comprendere la necessità di
aprire nuove vie. Certamente la nostra mentalità di responsabili va
aperta allo Spirito e alla speranza cristiana: non possiamo più
percepire i fratelli come un problema, essere convinti che la
manutenzione sia la nostra attività pastorale principale, produrre
formazione senza avere uno scopo missionario immediato e farla solo in
rispetto ad una tradizione senza averne verificata l’efficacia; dovremo
cercare invece di promuovere in ogni modo le capacità dei fratelli e i
loro doni, la strada è quella della valorizzazione di tutto e di tutti,
non della selezione, se siamo in combattimento tutti servono anche per
le cose che non abbiamo mai considerato, questo atteggiamento nasce
anche dal rispetto dovuto a Dio che agisce ed opera in tutti i fratelli
e le sorelle a noi affidati. Questo necessita pazienza e grande
dedizione: questo ci fa anche capire che cosa significa essere pastori
secondo il cuore di Dio, questo significa che non possiamo normalizzare
il Rinnovamento carismatico costringendolo a diventare qualcosa di
comodo a uso e consumo personale. E’ generosa e aperta la chiave di
lettura del RnS, non potrà mai essere restrittiva e selettiva, meno che
mai elitaria, sempre popolare, accogliente verso tutti e alla ricerca di
tutti i figli persi o allontanati della casa d’Israele.
Nel concreto non potremo
più trascurare la missione nelle diocesi per proporre il seminario di
vita nuova aperto a tutti e finalizzato alla trasmissione di questa
grazia che è per tutti e non solo per chi aderisce al RnS, se il Signore
lo vorrà avremo anche la gioia di fondare un nuovo gruppo, altrimenti
avremo seminato, arato e irrigato per il Regno di Dio. E’ chiaro che più
ci apriremo all’esterno più forte e chiara dovrà essere la nostra
identità e il nostro senso di appartenenza per non essere risucchiati o
scoloriti. L’assorbimento verso attività umanamente gratificanti anche
nella chiesa è sempre possibile, così come è facilissimo essere
scoloriti nella nostra identità carismatica per ritrovarci dopo anni
senza sapere neanche più chi siamo. Il senso di appartenenza è anche un
dato affettivo sentimentale è il voler bene alla realtà associativa come
realtà di fratelli e sorelle con le quali condividiamo la nostra fede
comune in Gesù Cristo, è gratitudine verso questa comunità che ci ha
cresciuti nella fede dopo averci aiutati a trasmetterla di nuovo con
vigore grazie alla sua testimonianza. In questa prospettiva non può più
essere occasionale la crescita dei gruppi e dei fratelli nei gruppi, ma
uno dei tanti segni della nostra capacità di essere missionari: i
comitati regionali e diocesani così come i pastorali di servizio dei
gruppi non possono più limitarsi alla semplice registrazione notarile
dei gruppi che entrano e che escono giudicando le realtà, ma si devono
fare promotori e veri animatori, suscitatori di realtà iniziatori di
gruppi e comunità, il Rinnovamento si è diffuso così, con l’impegno di
fratelli e sorelle molto semplici, ricchi di quella sapienza mariana e
di quella fede capace di muovere le montagne dell’ateismo e
dell’indifferenza. I ministeri diventano così strumentali e realmente
utili per poter progredire nella direzione del sostegno alla missione
che non viene fatta da persone studiate a tavolino, ma capaci di
testimoniare la fede: i ministeri per la vita del gruppo e della
comunità sono la prima testimonianza di una vita vissuta nel
Rinnovamento, ma vanno di pari passo con quelli legati agli ambiti di
evangelizzazione, nei quali tutti gli aderenti al Rinnovamento devono
sentirsi impegnati. Infatti, giovani, bambini, famiglie e impegno
sociale, non sono riserve destinate a pochi, ma l’ordinario terreno di
impegno di tutti noi.
In questi settori di
evangelizzazione, dentro la Chiesa e fuori di essa, siamo
particolarmente chiamati a conservare uno stile di purezza evangelica e
di totale affidamento allo Spirito; comunicare il Vangelo senza
mediazioni culturali e senza vergogna della Croce che annunciamo, deve
essere il ns. vanto; buonismo, atteggiamenti politicamente corretti, non
possono far parte di una cultura missionaria, in un mondo da una parte
troppo semplificato e appiattito sul materialismo pratico, e dall’altra
estremamente complesso, può essere affrontato e fecondato dalla Parola
di Dio, solo ponendo Gesù al centro di ogni ns. interesse e soprattutto
testimoniando che è al centro della ns. vita.
Nella formazione di
settore invece, quella che ci apre alla cultura di Pentecoste, la
mediazione culturale si rende necessaria. Lì infatti, non possiamo
essere dei fondamentalisti e degli assolutisti che non tengono conto
della Storia della Chiesa e dell’umanità, ma dobbiamo essere attenti al
bene e alle conoscenze che si sono sviluppate in ogni settore delle
scienze e delle tecnologie. Quindi evitare il duplice errore: da una
parte di essere relativi e riduttivi nel primo annuncio dell’iniziazione
cristiana, dove invece dobbiamo esprimerci con assoluta libertà, purezza
evangelica e radicalità; dall’altra invece, nelle pastorali di settore,
adoperare tutta l’intelligenza per cogliere le sfumature ed evitare
quelle soluzioni facili, contrarie al buon senso e alla necessità di
dialogo con tutti.
La cultura di Pentecoste
ci spinge ad accettare le sfide poste dal mondo. Le raccogliamo tutte,
perché le percepiamo come la strada maestra attraverso la quale Gesù
vuole farci crescere nella fede; vogliamo considerarle come ulteriore
occasione di crescita perché ci costringono ad essere più santi, più
bravi, più intelligenti.
Dio ci vuole costruttori del Regno ed operatori in ogni settore della
vita umana, perché la cultura di Pentecoste coniughi in ogni
comportamento il Vangelo di Dio e nulla sfugga alla Luce Redentrice di
Cristo. E’ necessaria la parresia e la forza del Kerigma, perché senza
complessi e senza finzioni abbiamo il coraggio di annunciare la Verità.
Essere fedeli alla Verità, come è stato per Cristo, significa andare
incontro a morte certa, cioè a rinunciare a tutto ciò che di godibile e
di effimera felicità il mondo può offrire. Cultura di Pentecoste
significa quindi credere e vivere una missione nella quale ogni
esperienza parte dal Cenacolo e al Cenacolo torna: parte nella purezza,
viene anche contaminata dal mondo, ma ritorna nel Cenacolo per essere di
nuovo purificata e redenta. Nulla in tutto questo può essere violenza o
imposizione verso il nostro prossimo o semplice denuncia del male che
vediamo negli altri o fuori di noi: Cultura di Pentecoste è soprattutto
verifica su noi stessi e conversione del Cuore, perché ogni novità nasca
dalla testimonianza e non solo da parole o da elaborazioni
intellettuali. Tutto questo non è possibile con le sole forze dell’uomo:
ecco perché la sfida deve essere alta e sempre impossibile alle sole ns.
forze, per avere la certezza che in quest’opera ha agito anche Dio da
vero protagonista.
Questo è stato fin
dall’inizio il Rinnovamento in missione, quando è riuscito a trascinare
e coinvolgere in una fede rinnovata decine di milioni di persone in
tutto il mondo, e centinaia di migliaia nella ns. Italia.
Questo è il Rinnovamento
che ci ha fatto lodare e ringraziare sinceramente Dio perché nel vedere
la Sua opera in mezzo a noi venivamo travolti dalla commozione e dallo
stupore, questa stessa opera non finirà mai ed è ancora affidata a noi
per la salvezza ns. e di molti fratelli.
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