Nelle
catechesi già pubblicate abbiamo preso coscienza che ogni sofferenza
porta in sé una ferita di relazione d'amore che può essere curata
solo con l'amore; abbiamo chiamato questo amore perdono. Ora
analizziamo le tappe dell'itinerario che dobbiamo percorrere per
giungere alla scelta di perdonare e riconciliarci con il prossimo,
ma anche con noi stessi.
Il
perdono è la medicina più importante per guarire la relazione
con se stessi, con gli altri e con Dio. È una medicina salvavita
e, come tale, va assunta quotidianamente. Ogni giorno noi tutti
ci confrontiamo con la necessità di perdonare: o i genitori, o
il coniuge, o i figli, o i fratelli e le sorelle della comunità,
o i colleghi di lavoro... Il perdono modifica i nostri rapporti
perché cambia il nostro atteggiamento verso l'offensore e ci rende
consapevoli di quanto desideriamo e siamo disponibili a ricostruire
la relazione incrinata. Il desiderio e la disponibilità a perdonare
sono, perciò, alla base di ogni perdono ma diventano effettivi
solo con latto del far pace.
Questo atto non è automatico né si esaurisce in una buona intenzione,
ma esige alcune rinunce spesso dolorose che implicano un travaglio
di lutto di cui è necessario conoscere le tappe. Prenderemo in
considerazione le tappe usate dalla dottoressa Elisabeth Kubler-Ross
nell'accompagnamento dei malati terminali. Perché? Per l'analogia
esistente fra il cammino necessario ad affrontare la nostra morte
corporale e quello dell'affrontare la rinuncia, la morte a se
stessi contenuta nel perdono; infatti morte corporale e morte
a se stessi hanno bisogno entrambi di un lavoro di riconciliazione
che si attua attraverso rinunce e accettazioni, vale a dire attraverso
un movimento pasquale di morte-risurrezione.
Una tale analogia ci spinge ad affermare che la pace e la serenità
con cui affronteremo la nostra morte corporale dipenderanno molto
da come avremo vissuto quotidianamente le nostre riconciliazioni
attraverso il morire a se stessi. Perché, allora non osare suggerire
un'altra funzione del perdono, quella di essere un'eccellente
preparazione alla morte? Per questo sono necessari accompagnatori
che siano formati nella compassione (molta ed essenziale) e nella
conoscenza dell'uomo (necessaria, anche se poca) per guidare e
sostenere i fratelli in questo difficile cammino di riconciliazione.
La conoscenza di queste tappe rientra in quella competenza di
cui dovrebbero avvalersi soprattutto gli accompagnatori. Tali
tappe non hanno i contorni ben definiti, come in uno schema rigido
perciò, anche se noi le prenderemo in considerazione in maniera
successiva, tuttavia esse, vanno sempre ritenute un tutto armonico
da custodire evitando tagli arbitrari.
Per ogni tappa diremo:
- la definizione;
- la speranza;
- i sentimenti espressi;
- la rinuncia da farsi;
- le scelte di aiuto.
Lo diremo in modo sintetico e, speriamo, comprensibile tanto da
suscitare in noi tutti il desiderio di approfondire un argomento
con il quale ciascuno di noi è più o meno profondamente confrontato.
I
tappa: è la rivelazione, cioè la presa di coscienza, a volte
scioccante, della propria parte di responsabilità nel conflitto
relazionale e, quindi, della necessità di dare il perdono, ma
anche di chiederlo; la speranza non è ancora espressa;
i sentimenti sono di smarrimento e ancora poco espressi;
la rinuncia è teorica, in quanto si sa che per perdonare
bisogna morire a se stessi; laiuto da dare è quello di
accompagnare la persona nel rispetto e nella preghiera.
A questa prima tappa succede, quasi simultaneamente, la seguente.
II
tappa: è la negazione, ovvero il rifiuto di guardare in faccia
la realtà; sopravvengono sentimenti di paura e di ansia
che provocano sofferenza che si cerca di fuggire attraverso compensazioni
di vario genere quali, per esempio, la bulimia, l'alcool, la droga,
il sesso, i viaggi, il lavoro eccessivo ecc.; è una reazione arcaica
di difesa verso una realtà troppo dura da affrontare in quel momento.
La speranza è che non sia vero, che non sia necessario
chiedere perdono; ci si aspetta una soluzione miracolosa del problema.
La rinuncia è quella di rifiutarsi di attraversare la sofferenza
implicita nel morire a se stessi. L'aiuto da dare è quello
di un ascolto rispettoso del ritmo di marcia della persona, rispetto
che si esplicita sia nell'evitare di far crollare precipitosamente
il suddetto sistema difensivo, sia nell'evitare di mantenere la
persona in questa tappa di negazione poiché le si toglierebbe
la possibilità di fare il necessario travaglio di lutto.
III tappa: è la rivolta; essa è distinta dalla collera.
Di quest'ultima, infatti, prendiamo coscienza ogni volta che c'è
una ferita, un'ingiustizia subita, una situazione dolorosa impostami
contro la mia volontà ecc.; questa collera è il grido della sofferenza
e, come tale, persisterà finché vivremo sulla terra. La rivolta,
invece, è la reazione, spesso inconscia, di risentimento e di
odio verso la/le persone che ci hanno ferito; la presa di coscienza
della mia parte di responsabilità nel conflitto provoca una rivolta
esplicita attraverso l'esprimersi di sentimenti quali la
rabbia, l'aggressività, la regressione, la violenza, il rifiuto
di chiedere perdono... La speranza accarezzata è quella
di trovare una nuova e diversa soluzione. La rinuncia si
esprime attraverso il rifiuto di rinunciare alla propria rivolta
che si reputa giusta. L'aiuto da dare è quello di non impedire
l'espressione di questi sentimenti, che possono essere considerati
come l'espressione aggressiva di una grande angoscia, perciò ascoltare
con compassione senza interventi moraleggianti; c'è, infatti,
in questo momento - come in tutto il cammino un bisogno profondo
di sentirsi amati e accettati per ciò che si è. Questa fase è,
molto spesso, mescolata con la quarta tappa.
IV
tappa: è la depressione reattiva; essa è rivolta al passato
e traduce il pensiero di non aver capito nulla e di avere sempre
sbagliato nella vita. I sentimenti sono di paura, di tristezza,
a volte persino disperazione... La speranza è che la scadenza
della riconciliazione sia ancora lontana. La rinuncia che
si impone, e che provoca questo primo stato di abbattimento, è
quella di abbandonare certi meccanismi difensivi. L'aiuto da
dare sarà quello di accettare questa tristezza attraverso
un ascolto paziente, una sicura e fedele presenza, spesso silenziosa,
e un sostegno spirituale. È il momento in cui è possibile fare
una nuova rilettura dell'evento e, quindi, della propria vita
scoprendone i tanti elementi positivi. Ci introduciamo, allora,
nella quinta tappa.
V
tappa: è il mercanteggiamento, il "sì-ma", il "d'accordo-però",
vale a dire: metto davanti un'infinità di motivazioni che mi permettono
di dire che forse non sono io a dover fare il primo passo o che,
se anche lo facessi, non è sicuro che esso avrà un esito positivo.
Questo mi permette di rimanere in una situazione dove non si muove
nulla. È un tentativo di fuga che mi spinge a cercare una soluzione
diversa da quella che si rende realisticamente necessaria. I
sentimenti espressi sono agitazione, inquietudine, ricatto,
aumento di attitudini magiche il cui scopo è quello di esorcizzare
la realtà da affrontare. La speranza è quella di un cambiamento
improvviso della situazione. La rinuncia necessaria - e
che non si vuol fare - è quella di lasciare questi tentativi di
fuga irreali e illusori. L'aiuto da dare è sempre quello
dell'ascolto che non impedisce l'espressione di questo travaglio
e che, perciò, rassicura ma che, tuttavia, non rinforza. Questa
è una fase che si trova spesso mescolata con le altre e, in modo
particolare, con la rivolta. La sua risoluzione apre la persona
alla sesta tappa.
VI
tappa: è la depressione per anticipazione, essa è una reazione
riguardante il futuro. I sentimenti espressi sono: paura
di diventare vulnerabili, di essere respinti, dubbio, angoscia...
La speranza è quella di essere capiti, accolti, amati.
La rinuncia alla mia giusta ragione, che era il mio punto
forte di riferimento, si fa sempre più angosciante. L'aiuto
da dare è il dialogo con una presenza più serrata e con un
aiuto nel trovare nuovi punti di riferimento per poter creare
legami più spirituali. È una fase molto importante, perché apre
alla dimensione spirituale che è quella non più di fare ma di
lasciar fare, di accogliere il dono di Dio. Questa tappa esprime
l'abbandono dei sistemi difensivi, perciò è segnata dall'angoscia.
I tentativi di fuggire questa dura realtà del morire a se stessi
si fanno più frequenti fra le due depressioni - quella reattiva
e quella anticipatoria -, per cui vediamo spesso risorgere vecchie
modalità di compensazione o di consolazioni egocentriche. Il superamento
di questa tappa porta alla settima tappa.
VII
tappa: è l'accettazione, cioè il riconoscimento dei
propri errori e l'accettazione di riconciliarci. I sentimenti
espressi sono la pace, la gioia e, soprattutto, la serenità. E
il momento in cui mi apro al perdono, all'offerta e il perdono
diventa effettivo.
Infatti la rinuncia alla mia rivolta è così reale da portare,
come logica conseguenza, l' accettazione della mia vulnerabilità,
laccettazione dell'altro e la gioiosa scoperta che ciò che vivo
non solo ha un senso, ma vi trovo un considerevole guadagno umano
e spirituale. Capisco, attraverso questa dolorosa e felice esperienza
la parola di Gesù: «Colui che vuole salvare la propria vita la
perderà, ma colui che perderà la sua vita per me la troverà» (cf
Gv 12, 25). Scopro che il travaglio di lutto ha prodotto il frutto
di un amore più grande e più libero perché non più nascosto da
veli difensivi.
La speranza sarà quella di incontrare l'altro e di amarlo
sempre di più. L'aiuto da dare sarà quello di aiutare la
persona a discernere ciò che conviene fare e come agire nella
nuova situazione.
L'accettazione ha, ormai, preparato il terreno per una irruzione
dello Spirito Santo recante in dono l'amore stesso di Gesù vale
a dire l'amore-agape, l'amore dei nemici. La persona sperimenta
questo agire divino in lei, tanto che desidera circondarsi di
coloro che l'hanno maggiormente ferita e desidera ardentemente
una riconciliazione profonda. È il momento di aiutarla nel favorire
incontri di riconciliazione. Più la riconciliazione diventa un
atto effettivo, più la persona viene introdotta dallo Spirito
Santo stesso nella dimensione dell'offerta, ben espressa da: «è
bene che lui cresca e io diminuisca» (cf Gv 3, 30), e non c'è
amore più grande di quello che dà la vita...» (cf Gv 15, 13).
A
conclusione di questa veloce presentazione ecco alcune considerazioni
importanti per tutti, ma essenziali per coloro che accompagnano
i fratelli/sorelle in questo cammino di perdono:
-
il tempo: infatti il travaglio di lutto implica la necessità
del tempo, poiché ogni rinuncia può essere digerita solo lentamente;
-
sentire e aver perdonato sono due dimensioni diverse; infatti
possiamo essere in un serio cammino di perdono senza, tuttavia,
sentire di avere perdonato;
-
rimettersi in cammino: si può restare bloccati anche a lungo
su una delle suddette tappe, ma ciò che importa è non arrendersi
e chiedere a Dio il desiderio di voler continuare il cammino pur
nella sofferenza, e chiedere ai fratelli l'aiuto spirituale e
umano necessario al viaggio;
-
ridare speranza: se è vero che ogni tappa esige di essere
espressa, tuttavia essa non è la meta e, quindi, può e deve essere
superata;
-
cammino di conversione personale a cui il Signore ci chiama
a lavorare ogni giorno.
-
distinguere la riconciliazione dal perdono: il perdono
non sempre porta alla riconciliazione. Infatti quest'ultima presuppone
la partecipazione di due persone, l'offensore e l'offeso; essa
si attua quando l'offensore non solo chiede perdono ma cambia
concretamente il suo atteggiamento verso l'offeso. Il cammino
dell'offensore è, perciò, un cammino di pentimento e di conversione
mente il cammino dell'offeso è quello della misericordia che non
solo rinuncia a vendicarsi per l'ingiustizia subita ma apre le
braccia all'offensore. È sempre possibile riconciliarsi con Dio
perché lui è sempre pronto al perdono, ma questo è molto più difficile
con i fratelli. Infatti io posso essere disposto a chiedere o
a dare il perdono nel mio cuore senza, però, trovare la stessa
disponibilità nell'altro; diciamo, perciò che se io sono padrone
del mio perdono non sono altrettanto padrone del perdono dell'altro.
Questo ci rende realistici facendoci comprendere che molti perdoni
non sfoceranno mai in riconciliazioni. Ciò che noi possiamo fare
è preoccuparci del nostro cammino di conversione attraverso il
nostro perdono e portare nella preghiera la persona e che rifiutano
la loro parte di partecipazione nella riconciliazione. Ricordiamoci
sempre che non siamo noi a convertire i nostri fratelli ma solo
il Signore, perciò il nostro compito è amarli e pregare per loro.
Questo e tutto il resto è nelle mani misericordiose, fedeli,
giuste, sane e potenti di Gesù, nostro unico salvatore e Signore.
PER
UNA VERIFICA PERSONALE E COMUNITARIA
Ti consideri più vittima o più persecutore? Pensi, perciò, di
avere più perdono da dare o da ricevere?
Chi ti ha aiutato o chi ti aiuta a fare un giusto discernimento
sui torti fatti o subiti?
Cosa è cambiato in te e nelle tue relazioni dopo un'esperienza
di perdono?
Diceva Antonio Bello, vescovo di Molfetta: La pace sia il traguardo
dei nostri impegni quotidiani. Lo è anche per te? Se non lo è,
cosa ti impedisce che lo sia?
La vita di gruppo con la preghiera, l'ascolto della Parola e la
comunione fraterna ti aiutano a realizzare tale programma di pace?
Come?