L'indissolubilità
del matrimonio e la cura pastorale dei divorziati sono indubbiamente
tra le questioni più spinose e più discusse sia all'esterno che
all'interno della comunità cristiana. Le persone divorziate, sempre
più numerose, pongono una serie di problemi pastorali alla Chiesa
del nostro tempo. Il punto di partenza per una disamina attenta
di queste tematiche non può che essere il progetto di Dio, espresso
dalle parole di Gesù riferite dal Vangelo.
Alla
domanda postagli dai farisei circa la possibilità per l'uomo di
ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legislazione
di Mosè, Gesù risponde: Per la durezza del vostro cuore egli
scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio
li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre
e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più
due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha
congiunto (Mc l0, 5-9). Il Signore riporta la questione al progetto
originario di Dio, citando testualmente le parole del libro della
Genesi (Gen 2, 24) e invitando espressamente sia gli uomini che
le donne a considerare il matrimonio come una realtà indissolubile.
Non sono mancate le osservazioni critiche a queste parole di Gesù.
In modo particolare alcuni autori si rifanno al testo del Vangelo
di Matteo, che prevederebbe un'eccezione, così formulata: eccetto
il caso di concubinato (Mt 5, 32; 19, 9). La parola concubinato,
che nel testo originale greco è porneia, viene interpretata
in molti modi dagli esegeti. Esiste al riguardo una vastissima
letteratura con molte ipotesi diverse e contrastanti fra di loro.
Una delle tesi più accreditate è che l'evangelista Matteo parli
qui di unioni matrimoniali invalide, non di vere e proprie eccezioni
all'indissolubilità del sacramento nuziale. In ogni caso la dottrina
della Chiesa non può fondarsi su incerte ipotesi esegetiche, ma
deve attenersi all' insegnamento chiaro di Cristo, che collega
la prassi divorzista alla durezza di cuore (sklerokardìa)
degli uomini e invita tutti a ritornare al principio della creazione,
al progetto originario di Dio che prevede l'indissolubilità del
matrimonio. Sarebbe inaccettabile piegare la verità insegnata
da Cristo alla debolezza dell'uomo, ossia dichiarare non vero
quanto lui ha detto solo perché l'uomo non ce la fa a vivere secondo
il suo insegnamento. Pur comprendendo le notevoli difficoltà che
tante volte si frappongono all'adempimento dei progetti di Dio,
noi riteniamo che sia possibile all'uomo, fortificato dalla grazia,
rispondere alle esigenze anche ardue della sua volontà salvifica.
Accogliere
senza giudicare
La
Chiesa ha il dovere di essere maestra di verità e madre accogliente
di tutti i suoi figli, soprattutto di quelli che si trovano in
maggiori difficoltà. L'accoglienza amorevole, però, non può prescindere
dalla proclamazione della verità, pena il cadere in uno sterile
atteggiamento pietistico che non aiuta le persone a maturare e
a tendere, talora anche in modo eroico, alla santità. La Chiesa
è madre solo nella misura in cui è sposa fedele di Cristo. Essa
non può tradire la verità ricevuta dal suo Signore, ma è chiamata
a insegnarla ai suoi figli nella sua integrità, senza accomodamenti
né sconti. Il suo atteggiamento non può che essere quello stesso
di Cristo, che fu intransigente contro il male e misericordioso
nei confronti dei peccatori.
Sulla base di questo stile, che la comunità cristiana è chiamata
a incarnare, i fratelli divorziati dovranno sentire che essi,
in forza del proprio battesimo, continuano a far parte della Chiesa
e che nessuno è autorizzato a giudicare l'intimo della loro coscienza,
dove solo Dio può vedere. Il giudizio della Chiesa si fonda sulla
loro situazione esterna e pubblica, non certo sulle situazioni
di coscienza, nelle quali non possiamo mai entrare dal di fuori.
Accoglienza nei confronti di questi fratelli e sorelle significa,
in concreto, invitarli a prendere parte alla vita della Chiesa
in tutte le sue forme. Significa anche, specialmente per i pastori,
discernere bene le diverse situazioni: alcuni hanno distrutto
per loro grave colpa la propria unione matrimoniale, altri invece
sono stati abbandonati dal coniuge; alcuni sono rimasti fedeli
all'unico vincolo matrimoniale contratto, altri invece si sono
risposati, ovviamente solo col rito civile, cioè convivono more
uxorio con un'altra persona.
Formarsi
al matrimonio
Sono
soprattutto questi ultimi, ossia i divorziati risposati o conviventi,
a porre particolari problemi, specialmente per quanto riguarda
la ricezione dei sacramenti. A motivo della loro situazione oggettiva,
questi fedeli non possono essere ammessi alla comunione eucaristica.
Sono essi a non poter esservi ammessi - scrive il Papa nella
Familiaris consortio al n. 84 - dal momento che il loro
stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente
a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e
attuata dall'Eucaristia. Vale qui la pena di ricordare che esistono
anche molte altre situazioni che si oppongono a una degna e fruttuosa
ricezione della comunione; non sempre questo viene richiamato
nella predicazione e nella catechesi. Accostarsi alla mensa eucaristica
significa vivere in grazia di Dio, in un impegno di comunione
piena col Signore e coi fratelli. La situazione obiettiva del
divorziato risposato si oppone a questa pienezza di comunione,
rappresentando uno stato permanente di peccato, che impedisce
il proposito di "non commetterlo più", richiesto in ogni autentica
confessione sacramentale. Un serio cammino di conversione potrebbe
anche portare i due a interrompere la loro unione coniugale e
a trasformarla in un legame di amicizia, di stima e di aiuto reciproco.
«È chiaro - scrive a tal proposito il cardinale Ratzinger- che
questa soluzione è esigente, soprattutto se si tratta di persone
giovani. Per questo motivo è di importanza particolarmente grande
l'accompagnamento prudente e paterno di un confessore», ossia
di una guida spirituale che aiuti gli interessati a maturare eventualmente
questa scelta.
In ogni caso nessuno pensi di non poter ottenere la salvezza o
che essa dipenda unicamente dalla ricezione dei sacramenti. Scrive
a tal proposito il Papa nella Familiaris consortio: «La Chiesa
con ferma fiducia crede che, anche quanti si sono allontanati
dal comandamento del Signore e in tale stato tuttora vivono, potranno
ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza,
se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella
carità».
Non è difficile convincersi che molti di questi problemi sono
da risolvere a monte, ossia nell'ambito della preparazione al
matrimonio, che deve puntare in modo ancora più efficace alla
crescita nella fede dei nubendi. Esiste un rapporto di essenza
tra fede e sacramento del matrimonio. Ci sarebbe da chiedersi,
in questo senso, quanti matrimoni vengono celebrati con autentico
convincimento di fede... Dovere dei pastori e di tutta la comunità
cristiana è quello di aiutare i fidanzati a percorrere un vero
e proprio itinerario di fede, che li aiuti a celebrare con vera
consapevolezza il sacramento nuziale e ad attingere alla sua grazia
in tutte le situazioni di difficoltà e di tentazione. Prima di
essere un compito, il matrimonio è una grazia. L'impegno di fedeltà
e di indissolubilità si vive perciò sulla base dell'amore gratuito
e salvifico del Signore, che sostiene il nostro cammino e ci fa
superare anche gli ostacoli più grandi.
PER
LA RIFLESSIONE NEI GRUPPI
Con quali atteggiamenti concreti si possono accogliere nella comunità
i fratelli e le sorelle divorziati?
Come si possono impostare gli itinerari di preparazione al matrimonio
in ordine all'impegno di fedeltà e di indissolubilità?
In quali modi si può far leva sull'azione concreta e potente
dello Spirito Santo nelle situazioni di crisi matrimoniale?