rivista di luglio agosto 2000


 

 

Quello che Dio ha congiunto l'uomo non separi


La riflessione o Gesù
(Mario Cascone)
 

L'indissolubilità del matrimonio e la cura pastorale dei divorziati sono indubbiamente tra le questioni più spinose e più discusse sia all'esterno che all'interno della comunità cristiana. Le persone divorziate, sempre più numerose, pongono una serie di problemi pastorali alla Chiesa del nostro tempo. Il punto di partenza per una disamina attenta di queste tematiche non può che essere il progetto di Dio, espresso dalle parole di Gesù riferite dal Vangelo.

Alla domanda postagli dai farisei circa la possibilità per l'uomo di ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legislazione di Mosè, Gesù risponde: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc l0, 5-9). Il Signore riporta la questione al progetto originario di Dio, citando testualmente le parole del libro della Genesi (Gen 2, 24) e invitando espressamente sia gli uomini che le donne a considerare il matrimonio come una realtà indissolubile.
Non sono mancate le osservazioni critiche a queste parole di Gesù. In modo particolare alcuni autori si rifanno al testo del Vangelo di Matteo, che prevederebbe un'eccezione, così formulata: “eccetto il caso di concubinato” (Mt 5, 32; 19, 9). La parola “concubinato”, che nel testo originale greco è porneia, viene interpretata in molti modi dagli esegeti. Esiste al riguardo una vastissima letteratura con molte ipotesi diverse e contrastanti fra di loro. Una delle tesi più accreditate è che l'evangelista Matteo parli qui di unioni matrimoniali invalide, non di vere e proprie eccezioni all'indissolubilità del sacramento nuziale. In ogni caso la dottrina della Chiesa non può fondarsi su incerte ipotesi esegetiche, ma deve attenersi all' insegnamento chiaro di Cristo, che collega la prassi divorzista alla “durezza di cuore” (sklerokardìa) degli uomini e invita tutti a ritornare al “principio” della creazione, al progetto originario di Dio che prevede l'indissolubilità del matrimonio. Sarebbe inaccettabile piegare la verità insegnata da Cristo alla debolezza dell'uomo, ossia dichiarare non vero quanto lui ha detto solo perché l'uomo non ce la fa a vivere secondo il suo insegnamento. Pur comprendendo le notevoli difficoltà che tante volte si frappongono all'adempimento dei progetti di Dio, noi riteniamo che sia possibile all'uomo, fortificato dalla grazia, rispondere alle esigenze anche ardue della sua volontà salvifica.

Accogliere senza giudicare

La Chiesa ha il dovere di essere maestra di verità e madre accogliente di tutti i suoi figli, soprattutto di quelli che si trovano in maggiori difficoltà. L'accoglienza amorevole, però, non può prescindere dalla proclamazione della verità, pena il cadere in uno sterile atteggiamento pietistico che non aiuta le persone a maturare e a tendere, talora anche in modo eroico, alla santità. La Chiesa è madre solo nella misura in cui è sposa fedele di Cristo. Essa non può tradire la verità ricevuta dal suo Signore, ma è chiamata a insegnarla ai suoi figli nella sua integrità, senza accomodamenti né “sconti”. Il suo atteggiamento non può che essere quello stesso di Cristo, che fu intransigente contro il male e misericordioso nei confronti dei peccatori.
Sulla base di questo stile, che la comunità cristiana è chiamata a incarnare, i fratelli divorziati dovranno sentire che essi, in forza del proprio battesimo, continuano a far parte della Chiesa e che nessuno è autorizzato a giudicare l'intimo della loro coscienza, dove solo Dio può vedere. Il giudizio della Chiesa si fonda sulla loro situazione esterna e pubblica, non certo sulle situazioni di coscienza, nelle quali non possiamo mai entrare dal di fuori. Accoglienza nei confronti di questi fratelli e sorelle significa, in concreto, invitarli a prendere parte alla vita della Chiesa in tutte le sue forme. Significa anche, specialmente per i pastori, discernere bene le diverse situazioni: alcuni hanno distrutto per loro grave colpa la propria unione matrimoniale, altri invece sono stati abbandonati dal coniuge; alcuni sono rimasti fedeli all'unico vincolo matrimoniale contratto, altri invece si sono risposati, ovviamente solo col rito civile, cioè convivono more uxorio con un'altra persona.

Formarsi al matrimonio

Sono soprattutto questi ultimi, ossia i divorziati risposati o conviventi, a porre particolari problemi, specialmente per quanto riguarda la ricezione dei sacramenti. A motivo della loro situazione oggettiva, questi fedeli non possono essere ammessi alla comunione eucaristica. “Sono essi a non poter esservi ammessi - scrive il Papa nella Familiaris consortio al n. 84 - dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia”. Vale qui la pena di ricordare che esistono anche molte altre situazioni che si oppongono a una degna e fruttuosa ricezione della comunione; non sempre questo viene richiamato nella predicazione e nella catechesi. Accostarsi alla mensa eucaristica significa vivere in grazia di Dio, in un impegno di comunione piena col Signore e coi fratelli. La situazione obiettiva del divorziato risposato si oppone a questa pienezza di comunione, rappresentando uno stato permanente di peccato, che impedisce il proposito di "non commetterlo più", richiesto in ogni autentica confessione sacramentale. Un serio cammino di conversione potrebbe anche portare i due a interrompere la loro unione coniugale e a trasformarla in un legame di amicizia, di stima e di aiuto reciproco. «È chiaro - scrive a tal proposito il cardinale Ratzinger- che questa soluzione è esigente, soprattutto se si tratta di persone giovani. Per questo motivo è di importanza particolarmente grande l'accompagnamento prudente e paterno di un confessore», ossia di una guida spirituale che aiuti gli interessati a maturare eventualmente questa scelta.
In ogni caso nessuno pensi di non poter ottenere la salvezza o che essa dipenda unicamente dalla ricezione dei sacramenti. Scrive a tal proposito il Papa nella Familiaris consortio: «La Chiesa con ferma fiducia crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore e in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità».
Non è difficile convincersi che molti di questi problemi sono da risolvere a monte, ossia nell'ambito della preparazione al matrimonio, che deve puntare in modo ancora più efficace alla crescita nella fede dei nubendi. Esiste un rapporto di essenza tra fede e sacramento del matrimonio. Ci sarebbe da chiedersi, in questo senso, quanti matrimoni vengono celebrati con autentico convincimento di fede... Dovere dei pastori e di tutta la comunità cristiana è quello di aiutare i fidanzati a percorrere un vero e proprio itinerario di fede, che li aiuti a celebrare con vera consapevolezza il sacramento nuziale e ad attingere alla sua grazia in tutte le situazioni di difficoltà e di tentazione. Prima di essere un compito, il matrimonio è una grazia. L'impegno di fedeltà e di indissolubilità si vive perciò sulla base dell'amore gratuito e salvifico del Signore, che sostiene il nostro cammino e ci fa superare anche gli ostacoli più grandi.

PER LA RIFLESSIONE NEI GRUPPI

• Con quali atteggiamenti concreti si possono accogliere nella comunità i fratelli e le sorelle divorziati?

• Come si possono impostare gli itinerari di preparazione al matrimonio in ordine all'impegno di fedeltà e di indissolubilità?

• In quali modi si può far leva sull'azione concreta e potente dello Spirito Santo nelle situazioni di crisi matrimoniale?