rivista di luglio agosto 2000


 

 

Le leggi bibliche


Luce dello Spiritoo Gesù
(Gianfranco Ravasi)
 

“Il Pentateuco, con le sue «pedantissime regole» e «sterminate casistiche», a volte può risultare una lettura arida e sconcertante, ma non dobbiamo dimenticare che è anzitutto “rivelazione”. Oltre le norme umane, infatti, vi è la incessante alleanza di Dio con l'uomo”.

«Ricordati del giorno in cui sei comparso davanti al Signore tuo Dio sull'Horeb (Sinai), quando il Signore mi disse: Radunami il popolo e io farò loro udire le mie parole... Voi vi avvicinaste fermandovi ai piedi del monte. Ardeva, fiammeggiante fino al cielo, quel monte. Tenebre, nubi, caligine lo coprivano. Il Signore vi parlò dal fuoco: udivate il suono delle parole ma non vedevate nessuna figura. Era solo una voce. Egli proclamò la sua alleanza, vi ordinò di osservare i dieci comandamenti e li scrisse su due tavole di pietra». Così il Deuteronomio (cf 4, 10-13), il quinto libro della Bibbia, costruito su tre grandi omelie di Mosè a commento della legge promulgata sul Sinai, riassume in modo solenne e puntuale l'esperienza del Sinai, la culla natale di Israele come qahal, cioè assemblea convocata da Dio stesso, comunità religiosa e nazionale. È la grande guida dell'esodo, Mosè, l'unico ammesso al dialogo solitario e mistico col Signore sulla vetta del monte, a rivolgersi a Israele rievocando l'evento vissuto al Sinai.

L’impero della legge

Influenzato da Freud, nel 1944 lo scrittore tedesco Thomas Mann (1875-1955) pubblica un romanzo intitolato Das Gesetz, La Legge, un testo suggestivo in cui espone una particolare interpretazione dell'apparato di leggi che appesantisce la lettura immediata del Pentateuco (chiamato appunto "Legge", anche se l'ebraico Torah rimanda più a un insegnamento). Mosè, secondo il famoso scrittore tedesco, è nato dall'unione illegale della figlia del faraone con un ebreo. Nell'intimo cova un risentimento per il proprio stato che si manifesta in modo primario nel temperamento collerico e passionale, in modo sublimato nell'anelito verso “l'incrollabile comando, il divieto, lo spirituale, il puro, il santo”, che riscattino le pulsioni e le origini della sua esistenza. Così, egli opta per il dio invisibile dei madianiti, il cui nome era Jhwh, trasformandolo nel dio dei patriarchi ebrei. È questa divinità che investe Mosè di una missione, quella “di mutare un'orda di primitivi in un popolo civile”. Ed egli attua il suo compito attraverso la legge. Il “non commettere adulterio” sarà, in un certo senso, il riscatto delle sue origini, ma non eviterà all'uomo Mosè di avere un legame con una etiope, cioè una donna nera, continuando il dramma della sua genesi. Nonostante ciò, le leggi che gli imporrà in nome di Dio saranno universalmente valide e, nella loro purezza, nasceranno dall' invisibilità, cioè dalla trascendenza di Jhwh, il dio invisibile madianita divenuto dio d'Israele.

Divino e umano nella legge biblica

Al di là della fantasia dell'assunto storico e dei condizionamenti freudiani, nella parabola mosaica di Mann possiamo trovare due elementi significativi per illustrare il sistema legale biblico. Da un lato, c'è la ferma convinzione che le sue origini siano rivelate. Per esempio, il cosiddetto codice dell'alleanza promulgato idealmente al Sinai come protocollo dell'alleanza con Jhwh (Es 20-23), inizia con questa asserzione: «Il Signore disse a Mosè: “Dirai agli israeliti: Avete visto che vi ho parlato dal cielo”...» (Es 20, 22). Eppure nelle norme di diritto civile, penale, religioso e sociale contenute in questo codice biblico gli esegeti hanno isolato contatti coi remoti codici sumerici o babilonesi di Lipit-Ishtar e di Hammurabi, con quello di egizio di Horemheb e con quelli ittiti, tutti affondanti le loro radici nel diritto consuetudinario arcaico e secolare dell'antico vicino Oriente. La qualità divina è nel sigillo che viene apposto alle norme, è ancora una volta la coscienza di essere in relazione con una divinità che non assiste remota e impassibile nella sua imperiale e dorata eternità alle vicende umane, ma che, al contrario, ha scelto la via della storia, della polvere delle strade terrene, degli usi e costumi umani per rivelarsi e per offrire la sua presenza e la sua salvezza.
D'altro lato, però, le leggi non cessano di essere umane, quindi caduche, variabili, minuziose, contingenti, problematiche, adattate a contesti socio-culturali datati e circoscritti. Così, se nel Levitico troviamo un passo talmente nobile da aver conquistato anche Gesù di Nazareth, il celebre “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo ma amerai il prossimo tuo come te stesso” (19, 17-18), poche pagine prima incontriamo una sterminata casistica sulla cosiddetta lebbra, che in realtà comprendeva tumori della pelle, pustole, ulcere, macchie, affezioni del cuoio capelluto, esantemi, e persino la calvizie e una stupefacente lebbra dei tessuti, del cuoio e delle case (capitoli 13-14).
Se il Deuteronomio ci offre una legge predicata, cioè accompagnata da calorose motivazioni, da appelli all'amore, alla purezza della fede, all'integrità della religione e del culto da praticare in un unico tempio, onde evitare la degenerazione, è lo stesso libro - di origine non sacerdotale e di forte afflato spirituale - a regolamentare i parapetti delle terrazze (22, 18), i fiocchi delle quattro estremità del mantello (22, 12), la cattura degli uccellini (22, —-7), a impedire il travestitismo come pratica idolatrica straniera (22, 5), a salvaguardarne gli alberi da frutto del nemico durante gli assedi (20, 19-20) e così via.

Il rischio del legalismo

A istituzioni nobilissime, come quella dell'anno sabbatico (ogni sette anni) e del Giubileo (ogni cinquant'anni), che miravano a ristabilire una certa parità sociale fra i membri del popolo (Lv 25; Dt 15), si accompagnano deliziose e per noi sorprendenti norme alimentari concrete che elencano pesci, uccelli, animali e persino insetti commestibili o no sulla base di arcaici tabù folcloristici, ambientali e religiosi (Lv 11; Dt 14). A rubriche rituali di alta spiritualità, come quelle riguardanti la solennità del Kippur, il gran giorno dell'espiazione in cui i peccati del popolo venivano confessati e simbolicamente trasmessi a un capro espiatorio, inviato poi a morire nel deserto (Lv 16), si associano in “duplice copia” pedantissime regole riguardanti l'arca della presenza divina, cioè il santuario mobile degli ebrei nel deserto, il suo arredo, i paramenti sacerdotali, i sacrifici, le offerte, i materiali da utilizzare e centinaia di minuziosi particolari rituali (Es 25-31 e 35-40).
La lettura di queste e di altre pagine può risultare arida e sconcertante, anche se è una preziosa fonte per gli studiosi di sociologia biblica, di antropologia culturale, di etnografia. Soprattutto si consolida la visione di un impero della legge che nello Stato ebraico nato dalle ceneri dell'esilio babilonese (VI secolo a.C.), descritto nei libri di Esdra e Neemia, acquista connotati teocratici e rivela un formalismo eccessivo, contro il quale - come vedremo - reagiranno i profeti (e in seguito Gesù). La Torah così cristallizzata diventava carta costituzionale e codice civile e penale, più o meno come accade ora in alcuni Paesi islamici; il sacro era come un manto che cercava di coprire ogni aspetto della vita del popolo; ciò che restava fuori era automaticamente considerato impuro e quindi profano, condannato, non valido.
Se l'impero dei sensi, come ha insegnato il lugubre film di Nagisha Oshima (1976), è implacabile e mortuario fisicamente, l'impero della legge può essere altrettanto inesorabile e mortale a livello spirituale. Ma la legislazione biblica, pur lambita da tale rischio, concretizzatosi nella pratica ossessiva di certe tarde osservanze e nei movimenti integralisti e fondamentalismi, esorcizza il pericolo di un sacralismo magico. È ciò che dovremo dimostrare in una delle prossime tappe del nostro itinerario che stiamo conducendo all'interno dell'Antico Testamento. Un itinerario che, come si vede, comprende anche regioni simili a steppe e deserti, perché la parola di Dio non ignora anche gli spazi umani più ristretti, si incarna anche negli ambiti più quotidiani e persino oscuri.