Un momento
di preghiera “accesa” dalla luce dell’attesa
di un Gesù che sta per nascere nel cuore di ciascuno. Questo ha
rappresentato il tradizionale Ritiro di Natale rivolto ai dipendenti
del RnS e della Odos Servizi, svoltosi come di consueto nella
Cappella della Sede nazionale di via degli Olmi, prima della pausa
per le festività. Un’occasione per meditare e attingere insieme
alla “fonte” della Parola, preparando gli animi a quella “Buona
Novella” che non può smettere di sorprenderci, e rinnovarci.
A
introdurre la mattinata è stato
Salvatore Martinez,
Presidente Nazionale del RnS, che ha ricordato quanto intenso si è
rivelato questo anno che volge al termine, caratterizzato, in
particolare, dal rinnovo degli Organismi Pastorali di servizio, con
l’auspicio,
a pochi giorni dalla felice riuscita dei Pranzi d’Amore
in dodici Carceri italiane, di continuare «a
perseverare con la grazia dello Spirito, adempiendo al primo
comandamento: tutti dobbiamo amare».
Quindi, un “regalo” più che
gradito, il video messaggio di don
Guido Pietrogrande,
Consigliere spirituale nazionale del RnS, che ha salutato i presenti
con un augurio fatto di schiettezza e genuinità: «Quale
Gesù state aspettando? Diffidate delle imitazioni: l’unico
Gesù che viene al mondo è quello che ci vuol bene e ci salva, non
quello che ci costruiamo noi. Buon Natale di Gesù, dunque, ma che
sia di questo Gesù».
Il Presidente del RnS ha poi
dettato una meditazione con un’esegesi
del capitolo II del Vangelo di Luca. «L’evangelista
suggerisce di leggere questo brano su due registri. Da una parte
– spiega Martinez -, c’è
Gesù che nasce a Betlemme; e poi c’è
un altro evento che si registra in un luogo diverso, al Campo dei
pastori, dove avviene quella che viene definita la «seconda
visitazione».
Martinez
illustra “cinque consegne” tratte da questo passo evangelico,
«nelle
quale ognuno può e deve ritrovarsi».
La prima, che «siamo
“uomini e donne messi a nudo”, bisognosi di umanità, di
protezione, di amore. Lo è per primo Gesù. Nella stalla e nella
croce è chiusa tutta la parabola del Figlio di Dio. Nel mistero del
Natale ci sentiamo bisognosi di umanità».
Il secondo messaggio è che «il
Natale è “il nostro regalo al Padre”, perché se è vero che il
Padre ci regala il Figlio, in realtà anche noi diventiamo regalo per
il Padre: con il Figlio noi stessi diventiamo figli. Se Lui nasce noi
nasciamo, se Lui ama noi amiamo, trasformandoci nel più bel dono di
Gesù al mondo».
Il terzo concetto è racchiuso nell’espressione
«vite
inginocchiate».
Come possiamo capire infatti «l’onnipotenza
di Dio se non con un gesto d'amore in ginocchio? L'amore chiede
umiltà, e questa verità ovviamente ci sfida, mette in discussione
le nostre intelligenze, i nostri stili di vita».
Il quarto pensiero, «vite
fasciate».
Ci si fascia «per
proteggerci, segno che siamo fragili, che sotto le bende c'è
qualcosa da proteggere; la vita ci ferisce e spesso ci spinge a
nascondere una parte di noi».
Infine, la quinta consegna: «Il
mistero del Natale è “una luce interminabile, non a
intermittenza”; una verità che non smette mai di stupirci, un
mistero sempre da penetrare con l’intelligenza della fede che
reclama verità. Perciò è una festa della luce oltre che della
vita. Nasce Dio: la luce viene da Lui che ci salva».
Prima
dell’atto
di affidamento a Maria, un ultimo incoraggiamento dal Presidente del
RnS: «Ognuno
di noi ha punti di sofferenza e di attesa; è la vita che ci fa
andare incontro al bisogno di Dio. Proviamo allora a ospitare questo
Cristo che nasce in un modo più convinto, più personale e
responsabile. Ogni anno ci viene chiesto un “di più” e un “di
meglio”: Gesù è Dio, altrimenti sarebbe un mero calcolo, un
affare tra gli altri, una possibilità tra tante di essere felici. Il
Natale non s’incontra sotto l'albero, ma in casa, in una casa. Oggi
tutte le strade devono portare verso quella mangiatoia».
La
Celebrazione eucaristica è stata presieduta da padre
Giovanni Alberti,
già Membro del Comitato Nazionale di Servizio ed esperto conoscitore
della Terra Santa, che nell’omelia
ha esordito con una fiaba, metafora della nostra esperienza
quotidiana di cui Dio «fa
parte nell’ordinario»
e se non c’è,
«come
lo zucchero in una bevanda»,
ne sentiamo la mancanza. «Nel
suo disegno di amore, Dio entra sempre dalla porta di servizio, e mai
in maniera scenica». Ora
che è Natale, suggerisce padre Alberti, «siamo
chiamati a lasciare un messaggio di ottimismo, perché il segno di
Dio nella storia c’è,
si vede e rimane. Manteniamolo allora, nella vita di ogni giorno,
nella fede, nella società, nella politica. Noi tutti siamo figli di
questa storia e di questo segno».
Francesca Cipolloni