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Il Vangelo: radice eterna per amarsi 
La relazione di don Vito Impellizzeri, Teologo e scrittore
43ª Conferenza nazionale animatori - Clicca per ingrandire...

Sabato 2 novembre, alla Conferenza nazionale animatori è stato accolto don Vito Impellizzeri, che ha tenuto la relazione sul tema: “Per preparare i fratelli a compiere il ministero” (Ef 4, 12a), “Evangelizzare è umanizzare fino alla statura di Cristo”. Il Teologo, persona fisicamente non molto alta, ha sottolineato con ironia il gioco di parole (“umanizzare fino alla statura di Cristo”) riferendolo a sé: si è presentato con la «consapevolezza di chi non ha niente da insegnare» ma con il desiderio di condividere la sua «piccola esperienza di Dio tramite la teologia», per fare «casa di Dio dentro di sé». Eccezionali l’umiltà e la passione del relatore.

Per Impellizzeri, il legame con Dio si fortifica se radicato in un carisma, in una esperienza di spiritualità, nel cammino comunitario ed ecclesiale che favorisce, secondo le peculiarità di ciascuno, la ricerca di Dio. È dunque necessario imparare la “Cultura di Pentecoste”, nella diversità di ognuno ma nell’unità della fede. Come per la diversità delle lingue, sciolta dallo Spirito nel giorno di Pentecoste, oggi c’è bisogno di comprensione reciproca e di dialogo, in quanto - sottolinea il Teologo e scrittore - lo stesso Spirito di verità abita la Storia dell’uomo, ogni giorno.

Impellizzeri, senza pretendere di avere «l’infinito in tasca», ha spiegato che il Vangelo non è una lista di condizioni da seguire ciecamente per entrare in un “club privato”, ma è un modo di vivere, un modo di amare: esso non rifiuta, né condanna nessuno. Il modo di amare del Vangelo è quello della Trinità: non un sentimento superficiale, ma radice eterna per amarsi e amare Dio, in Dio stesso. Ogni volta che amiamo, trasfiguriamo l’altro: amando, tu restituisci all’altro la sua dignità di figlio di Dio!

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Proprio in quest’ottica, evangelizzare è far fare a chi amiamo l’esperienza del Padre, mediata dal Figlio attraverso lo Spirito Santo: l’amore totale, quello vero e senza riserve, non può che essere specchio della completezza e complementarietà generative di Dio. È possibile amare perché da Cristo si è profondamente amati; perdonare perché perdonati, ascoltare perché ascoltati. In misura di quanto siamo amati da Dio, siamo portati ad amare l’altro.

Richiamando la figura di Zaccheo, il pubblicano disonesto del Vangelo che vuole vedere Gesù, Impellizzeri si chiede «da dove viene a un “personaggio di questa specie” il desiderio di vederlo» e suggerisce che siano stati i poveri in spirito che, probabilmente, che hanno suscitato in Zaccheo il desiderio di vedere Gesù: essi, in quanto poveri, non hanno altro da dare se non Gesù! Anche noi «possiamo ogni giorno parlare di Lui e suscitare il desiderio di tutti gli Zaccheo della nostra storia». Gesù passa per fermarsi a casa di Zaccheo “oggi”: questo è il tempo della relazione, dell’incontro e dell’esperienza di Dio, “oggi” è l’eternità della relazione di Dio con noi, incastonata nel nostro tempo come gemma preziosa. Ed è il nostro cuore la “casa di Zaccheo” che la Parola del Signore vuole abitare.

Il desiderio di incontrare Dio è lo stesso che prova Maria di Betania nella “penultima cena” di Gesù: Maria, che unge Gesù, è icona del Padre e della Chiesa, del Rinnovamento e di ognuno.

Infine, viene lasciata all’uditorio un’immagine significativa legata al cammino, quella dei piedi: Maria lava a Gesù i piedi come Gesù farà nell’ultima Cena ai discepoli. Gesù guarda al nostro cammino, alla nostra fatica umana di amare e alla nostra fragilità. Anche nella Parabola del Samaritano, l’uomo aggredito dai briganti e lasciato mezzo morto a terra, dalla sua prospettiva, vede solo i piedi di chi passa accanto a lui e spera che quei piedi si fermino e qualcuno lo ami e lo soccorra. Quell’uomo in terra è, metaforicamente, lo stesso Gesù, che guarda i nostri piedi, sperando che qualcuno di noi si fermi a soccorrerlo.

Xavier Trevisan

(03.11.2019)