Sabato 2 novembre, alla Conferenza nazionale animatori è stato
accolto don Vito Impellizzeri, che ha tenuto la relazione sul tema: “Per
preparare i fratelli a compiere il ministero” (Ef 4, 12a), “Evangelizzare è
umanizzare fino alla statura di Cristo”. Il Teologo, persona fisicamente non
molto alta, ha sottolineato con ironia il gioco di parole (“umanizzare fino
alla statura di Cristo”) riferendolo a sé: si è presentato con la «consapevolezza
di chi non ha niente da insegnare» ma con il desiderio di condividere la sua «piccola
esperienza di Dio tramite la teologia», per fare «casa di Dio dentro di sé».
Eccezionali l’umiltà e la
passione del relatore.
Per Impellizzeri, il legame con Dio si fortifica se radicato in
un carisma, in una esperienza di spiritualità, nel
cammino comunitario ed ecclesiale che favorisce, secondo le peculiarità di ciascuno, la ricerca di Dio. È dunque necessario
imparare la “Cultura di Pentecoste”, nella diversità di
ognuno ma nell’unità della fede.
Come per la diversità delle
lingue, sciolta dallo Spirito nel giorno di Pentecoste, oggi c’è bisogno di
comprensione reciproca e di dialogo, in quanto - sottolinea il Teologo e
scrittore - lo stesso Spirito di verità abita la
Storia dell’uomo, ogni giorno.
Impellizzeri, senza pretendere di avere «l’infinito in tasca»,
ha spiegato che il Vangelo non è una lista di condizioni da seguire ciecamente
per entrare in un “club privato”, ma è un modo di vivere, un modo di amare: esso
non rifiuta, né condanna
nessuno. Il modo di amare del Vangelo è quello della Trinità: non un sentimento superficiale, ma radice eterna
per amarsi e amare Dio, in Dio stesso. Ogni volta che amiamo, trasfiguriamo
l’altro: amando, tu restituisci all’altro la sua dignità di
figlio di Dio!
Proprio in quest’ottica, evangelizzare è far fare a chi amiamo
l’esperienza del Padre, mediata dal Figlio attraverso lo Spirito Santo: l’amore
totale, quello vero e senza riserve, non può che essere specchio della
completezza e complementarietà generative
di Dio. È possibile amare perché da Cristo
si è profondamente amati; perdonare perché perdonati,
ascoltare perché ascoltati. In misura di
quanto siamo amati da Dio, siamo portati ad amare l’altro.
Richiamando la figura di Zaccheo, il pubblicano disonesto del
Vangelo che vuole vedere Gesù, Impellizzeri si chiede «da dove viene a un “personaggio
di questa specie” il desiderio di vederlo» e suggerisce che siano stati i
poveri in spirito che, probabilmente, che hanno suscitato in Zaccheo il
desiderio di vedere Gesù: essi, in quanto poveri, non hanno altro da dare se
non Gesù! Anche noi «possiamo ogni giorno parlare di Lui e suscitare il
desiderio di tutti gli Zaccheo della nostra storia». Gesù
passa per fermarsi a casa di Zaccheo “oggi”: questo è il tempo della relazione,
dell’incontro e dell’esperienza di Dio, “oggi” è l’eternità della
relazione di Dio con noi, incastonata nel nostro tempo come gemma preziosa. Ed
è il nostro cuore la “casa di Zaccheo” che la Parola del Signore vuole abitare.
Il desiderio di incontrare Dio è lo stesso che prova Maria di
Betania nella “penultima cena” di Gesù: Maria, che unge Gesù, è icona del Padre
e della Chiesa, del Rinnovamento e di ognuno.
Infine, viene lasciata all’uditorio un’immagine significativa legata
al cammino, quella dei piedi: Maria lava a Gesù i piedi come Gesù farà nell’ultima Cena ai discepoli. Gesù guarda al nostro
cammino, alla nostra fatica umana di amare e alla nostra fragilità. Anche nella Parabola del Samaritano, l’uomo
aggredito dai briganti e lasciato mezzo morto a terra, dalla sua prospettiva, vede
solo i piedi di chi passa accanto a lui e spera che quei piedi si fermino e
qualcuno lo ami e lo soccorra. Quell’uomo in terra è, metaforicamente, lo stesso
Gesù, che guarda i nostri piedi, sperando che qualcuno di noi si fermi a
soccorrerlo.
Xavier Trevisan