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Social e Media, comunità reali o comunità virtuali? 
Il Simposio di padre Paolo Benanti, tor, professore di Etica delle tecnologie e neuroetica
43ª Conferenza nazionale animatori - Clicca per ingrandire...

È un frate che veste il saio francescano il relatore del simposio dedicato ai rischi derivati dalla rete digitale. È padre Paolo Bonanti, esperto della materia, professore e autore di diversi testi ed efficace comunicatore. “Navighiamo” ore e ore in uno spazio virtuale, intangibile, in cui, senza accorgercene, precipitiamo inconsapevoli in alcuni rischi. Ad introdurre il simposio è stata Carmela Romano, membro di Comitato nazionale per l’area della Formazione.

I social ci bombardano di informazioni, pubblicità, notizie, ma sono comunità reali o virtuali? Possono sostituirsi a rapporti reali? La prospettiva da cui parte p. Bonanti è un’espressione tratta dall’Evangelii gaudium (n. 243) di Papa Francesco: “l’enorme potenziale della mente umana”: abbiamo a che fare, cioè, con qualcosa che è nella condizione creaturale degli esseri umani in relazione con la tecnologia.

Siamo senza dubbio in un cambio di epoca: cambia il modo in cui parliamo, il modo in cui ci relazioniamo, il modo in cui descriviamo quello che esiste a noi stessi. E cambia il modo di comunicare il Vangelo. Guardare ai social o guardare al digitale è diventata una questione di frontiera: «una questione in cui ci si interroga su cosa significhi un’identità, su cosa voglia dire “essere umani”.

Dopo questa premessa, padre Benanti ha proposto ai presenti un viaggio immaginario strutturato in alcune domande nel tentativo di stimolare le menti a interrogarsi su quanto sta accadendo rispetto a un tema delicato e complesso come quello del digitale. Prima domanda: Il “Digital Age” (questa nuova “era di frontiera”), cambia la comunicazione?

Se è vero poi che la tecnologia digitale con un istante ci consente di sapere tutto quello che accade in tutte le parti del mondo, ci rende anche maggiormente capaci di comprendere quello che ci riguarda, ciò che è inerente al nostro comportamento o forse produce una sorta di miopia? La seconda domanda è dunque questa: «Comunicare di più significa di fatto comunicare meglio?».

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«Quando hai un’opinione, sei sicuro che quell’opinione sia davvero la tua?». L’enorme flusso di dati in cui siamo immersi, ci aiuta a capire meglio o forse sta nascendo una nuova forma di analfabetismo perché non sappiamo decodificare l’infinito passaggio di informazioni? La quantità sta predominando sulla qualità dell’informazione? E quanto queste informazioni agiscono sul nostro comportamento? Prendiamo per vere delle notizie solo perché ci vengono ripetute fino allo sfinimento o perché sono “realmente vere”!

Terza domanda: «cosa produce essere esposti a questo flusso mediale, fatto di testi, di immagini e di video? Cosa produce consumare questi media, questa “dieta mediale”?».

Uno studio ha dimostrato che la nostra “dinamica social” spesso non è razionale ma molto emotiva. Ogni "like" cioè è una sorta di "coccola emotiva" che ci viene fatta e che ci dà molta soddisfazione ma ci rende anche molto dipendenti. Dunque, cosa accade alla nostra vita emotiva durante questa “socializzazione digitale del mio vissuto”? Questa è la quarta domanda.

L’epoca digitale ci rende schiavi di consensi virtuali, spesso vuoti, causa ed effetto di stati d’animo sfalsati. La quinta domanda: «Il digitale è uno strumento di libertà o no? Cosa è reale e cosa è una nostra invenzione, una mia storia costruita sulla realtà?».

Nelle sue brevi conclusioni, il Professore afferma che sì, il digitale è «qualcosa che sta trasformando la nostra realtà e ci interroga. Ma, in questo cambiamento in corso, è difficile avere "ricette a priori"!». Ciò che è importante è capire se il cambiamento si subisce o se lo si vive da attori e protagonisti. «Siamo nel digitale: come ne usciremo dipende da noi!».

Daniela Di Domenico

(02.11.2019)