“L’idea di
una giustizia senza misericordia, e di un giudice che non distingue, oggi
riflette una percezione particolarmente diffusa, a cui fa specularmente eco
l’anelito a una giustizia vera, non formale o legalistica. Il cristianesimo
però nelle beatitudini fa apparire giustizia e misericordia strettamente
connesse tra loro, consequenziali”. Il professore Alberto Gambino, Presidente
nazionale dell’Associazione Scienza e Vita, di fronte a tante ingiustizie che
vede perpetrarsi socialmente, non ci sta. E lo ha palesato durante il simposio
di approfondimento che si è svolto nel primo pomeriggio della 43ª Convocazione nazionale
degli Animatori del Rinnovamento nello Spirito Santo.
«La
misericordia ci apre alla giustizia, ne garantisce la possibilità concreta.
Solo così il diritto si fa vivente, torna a essere caldo e affronta le
situazioni per quello che sono. La misericordia non toglie la giustizia ma ne è
il coronamento», spiega il giurista durante l’incontro moderato da Francesco
Bungaro, presidente dell’Associazione terapisti cattolici, rivolgendosi al
pubblico della Sala plenaria del Palacongressi. Per questo «la provocazione
cristiana sul senso profondo della giustizia continua a rappresentare una
risorsa per il mondo contemporaneo. E la scelta di progettare il bene di fronte
al male richiede coraggio».
C’è sempre
stata, infatti, nella storia, «l’aspirazione all’idea che la giustizia, per
essere tale, debba comprendere l’amore per gli uomini. Che per giungere cioè
alla vera giustizia, a un’ispirazione del diritto, ci dovesse essere altro», ha
spiegato il professore, sottolineando che in questo modo sono nati termini come
humanitas, pietas, clementia, caritas. Termini “che evitano i tradimenti
perpetrati da una rigida e integrale applicazione del diritto”. E che hanno
permesso, nella storia del diritto, di passare dall’idea di giustizia come
legge a quella della legge come giustizia, che lo diventa cioè tale per tutti.
«Un cambio
di paradigma spaventoso», specialmente se paragonato al fatto che «oggi, ormai,
il diritto si riduce alla legge, alla volontà normativa, un tempo del sovrano,
oggi del parlamento», e “legittimità e legalità si sovrappongono, rendendo ciò
che è legale subito legittimo”. È, infatti, a partire dal novecento che «la
misericordia tende ad eclissarsi dalla sfera della giuridicità. La carità viene
sostituita nell’età dei lumi dalla fraternità, senza rendersi conto che questa
implica la discendenza da un padre comune».
Un
frangente in cui, per Gambino, «la fraternità ha assunto una dimensione morale
molto diversa dalla misericordia. Si è radicata nella coscienza moderna l’idea
che diritto è altro dalla morale, e che ci può essere giustizia solo con il
supplemento d’anima della misericordia». Tuttavia, «oggi esiste una traccia
percorribile», è la conclusione del professore, aperta alla speranza e all’idea
che cambiare la società sia possibile, e che si manifesta quando «il perdono
non appare più come atto unilaterale ma come possibilità di reciproca
misericordia».
Il
misericordioso non è solo chi riceve l’atto di misericordia ma anche l’attore,
e leggendo la parabola del Buon Samaritano lo si rileva con chiarezza; infatti,
è «grazie alla misericordia del Samaritano che la vittima dei briganti è curato
delle sue ferite», ma è anche così che «il Samaritano fa la sconvolgente
esperienza della misericordia». «Gesù si preoccupa della vittima, ma ancora più
dell’atteggiamento nei confronti della vittima, da parte di tre personalità
diverse di cui solo uno riesce a reindirizzare la propria vita». Il Vangelo
della Misericordia così «ci consegna qualcosa di più e di diverso, ci consente
di rilevare la vera giustizia, inducendo tutti i cultori del diritto e della
legge ad adoperarsi in tale direzione. L’apertura caritatevole verso il
prossimo è la condizione per la manifestazione della giustizia».
Francesco
Gnagni