“Pentecoste è
tradurre nelle lingue del mondo il fuoco dello Spirito”. È “l’abbattimento
continuo di muri”, il cui frutto è “la comunità”, luogo in cui si è “un cuore
solo” e la Pentecoste diventa “un corpo solido”. “La Pentecoste continua della
Bibbia e della Parola è la condizione della libertà”. Sono soltanto alcune
delle definizioni che la biblista Rosanna
Virgili ha voluto consegnare al popolo del Rinnovamento nello Spirito
Santo, nel corso del primo intervento della seconda giornata della 43^ Conferenza
Nazionale degli Animatori, in programma al Palacongressi di Rimini dal 31
ottobre al 3 novembre 2019.
“La Pentecoste è un atto perenne di seduzione da parte di
Dio, e in ebraico è un verbo quasi bellico, un atto caustico”, ha spiegato la
biblista nel corso dell’intervento, molto applaudito al suo termine. “Noi
invochiamo lo Spirito Santo e dobbiamo essere pronti per essere incendiati. Il
dolore si scioglie nell’amore, e la nostra reazione di fronte all’amore è anche
dolore e sofferenza, pathos. Mentre invece viviamo in una civiltà che ha diviso
il dolore dalla gioia. L’indifferenza è infatti il grande male dell’Occidente”.
La scrittrice, docente di Esegesi dell’Antico Testamento
presso l’Istituto Teologico Marchigiano, ha subito esordito confessando di
avere visto, nella sala che l’ha accolta, “una barca portata dalle onde, un
brivido, canto, potenza di gioia”; un’assemblea formata da “apostoli che, come
nel Vangelo di Luca, sono rematori della parola”. “Voi siete la Pentecoste”, ha affermato, con occhi pieni di
gratitudine, rivolgendosi ai tanti animatori accorsi a Rimini.
La teologa ha così impostato il suo intervento facendo leva
sui tre elementi che compongono la Pentecoste: il vento, che muove la barca, il
fuoco, che è comunione e fraternità, e l’acqua, grembo materno che porta in sé
la creazione di un nuovo popolo, per mano dello Spirito, come accadde nel Mar
Rosso. “La Pentecoste perenne è responsabilità di un annuncio. Lo Spirito Santo
è verità, e ci chiede il coraggio di rompere tutti gli apparati ipocriti,
ripulendo il marcio che c’è. Ci chiede il coraggio di parlare pubblicamente, di
essere partecipi della vita del nostro popolo, e non ci permette di stare in
sacrestia perché i profeti parlano nelle piazze. È il grande mandato che il
nostro Signore ci dà nel Nuovo Testamento, attraverso proprio la Pentecoste”.
Una rivoluzione, quella del Nuovo Testamento rispetto al
giudaismo dell’epoca, cantata da Maria nel Magnificat, che la scrittrice
definisce “un Vangelo anticipato”, narrante di “una gioia che è fede e
anticipazione, come se il Signore avesse già compiuto totalmente la salvezza”. La
stessa di un “Dio che si fa compagno e amico, scende sulla terra perché sente
il grido del suo popolo, le vostre mani alzate, per farsi suo alleato”. Che “non
abbandona gli ultimi della terra ma si fa loro complice attraverso la Profezia,
come per Mosè quando il suo popolo, che aveva appena fatto un patto con Dio, si
fabbrica un vitello d’oro”.
Un fatto spiacevole, quest’ultimo, che accade “perché siamo
fragili, e finiamo per ridurre Dio a idolo, come se fosse un padrone della
nostra vita. Mentre lui è un partner”. È infatti questo “il grande rischio”, ha
spiegato in conclusione la teologa: “quello di rendere il nostro Dio, che è
spirituale e non si può tradurre in una statua, un idolo”. Mentre invece “la profezia
è un atto di salvezza, il più grande dei carismi”. E la croce “un abbraccio che
unisce il cielo e l’umanità”, è la chiosa finale. “Riuscire a tenere unito il
popolo di Dio alla carne degli ultimi e dei peccatori: è questo il nostro
compito straordinario”.