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Pellegrinaggio in Terra Santa 2019 
Cronaca 31 luglio 2019
Pellegrinaggio in Terra Santa 2019 - Clicca per ingrandire...

La salvezza che passa per la sofferenza (e le “contraddizioni”) della Croce

«Un amore crocifisso, il valore salvifico della sofferenza». La giornata del 31 luglio, per i pellegrini in Terra Santa, si è aperta nel cuore di Gerusalemme con il sesto insegnamento tenuto da Salvatore Martinez. Prima di far visita ai luoghi santi che hanno testimoniato il calvario, la morte e la resurrezione di Gesù, dal Presidente nazionale del RnS è stata offerta una traccia per comprendere, alla luce del Vangelo, il significato della croce nella nostra vita di credenti: tutto a partire da quel luogo, il Getsemani o, comunemente detto, «Orto degli Ulivi», dove in serata si è condivisa l'Ora Santa di Adorazione eucaristica animata da Martinez. «A questo appuntamento con Gesù non possiamo mancare – ha spiegato -, nè lasciare Gesù da solo a pregare, come gli apostoli i cui occhi «si erano appesantiti» (Mt 26, 43). Dobbiamo ridestarci dal “sonno”: come potremmo dirci credenti e non esperimentare questa ora? Molti pensano di raggiungere la salvezza rifiutando la sofferenza, ma questo significa scadere nel torpore di Satana: il riferimento è alle piaghe e ai mali del pensiero moderno, che vede, ad esempio nell'eutanasia o nell'aborto, la soluzione finale ai problemi della vita umana. «Solo vivendo il tempo del dolore e accettare il peso della croce le tenebre si possono tramutare in luce. Siamo chiamati a dare potere salvifico alla sofferenza,  includendo Cristo nelle nostre sofferenze», ha ribadito Salvatore Martinez. Eppure, «quanta gente maledice Cristo per le sofferenze, gente che vuole mettere a morte la verità, respingendo l'annuncio di salvezza. In Gesù, però, ogni mortificazione produce glorificazione: in Gesù siamo glorificati, per la sua morte e risurrezione. È solo sulla croce, infatti, che il Signore sarà riconosciuto non come figlio di un carpentiere o di un miracolo verginale, come ma veramente come figlio di Dio».

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Quale messaggio portano queste parole nel nostro pellegrinaggio che si avvia ormai alla conclusione? «Siamo venuti in Terra Santa per conoscere la salvezza: questo significa essere discepoli di Gesù, non abbandonarlo proprio ora, nel momento della prova. L'amore vero non sa mentire, ecco perchè Gesù è messo a nudo: quando l'amore vero è messo a nudo non disdegna di chiedere aiuto, come fa Cristo sulla croce, appunto». È sul Golgota che «il figlio di Dio raggiunge la sua massima glorificazione, quando viene portato a compimento il mistero salvifico di Gesù nella nostra carne crocifissa». È sul Golgota che «Gesù muore per non farci morire e ci riscatta offrendosi in riscatto».

Chi si adagia sul letto della croce, ha aggiunto Martinez, «non è un ripudiato, bensì è un figlio amato come il Padre ama il Figlio». La croce infatti, «costituisce il perno, il fulcro, la leva dell'amore divino. Ecco perchè l'amore, per essere glorioso, deve essere crocifisso. Gesù non è venuto ad eliminare la croce, che si vince sempre se sappiamo portarla». Inoltre, «nel silenzio muto di Cristo Gesù in croce è il massimo canto della gloria di Dio. Il Padre sarà glorificato nelle nostre vite solo se accetteremo la salvezza del Figlio, se agiremo come salvati e non come schiavi, se ci impegneremo a vincere lo spirito di morte ripetendo sempre: l'ultima parola spetta a Gesù».

Forti di questa verità da tradurre in monito perpertuo, i pellegrini hanno poi mosso i propri passi verso la sommità del Monte degli Ulivi, l'Edicola dell'Ascensione e le chiese del Pater Noster, del Dominus Flevit e di Sant'Anna: lì, per le strade oggi inghiottite dal traffico locale e un tempo percorse a piedi, tra polvere e sudore, dal Signore, tra polvere e sudore.

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La Santa Messa, svoltasi nella Basilica delle Nazioni in rito bizantino nel giorno in cui la Chiesa ricorda la memoria liturgica di San Giovanni Crisostomo, è stata presieduta dall'Arcivescovo mons. Yasser Ayyash,Vicario del Patriarcato di Antiochia dei Melchiti (Greci Melchiti Cattolici) – Arcieparchia di Gerusalemme. arrestato. «È stata una meravigliosa esperienza ecumenica e di unità nello Spirito Santo», come ha sottolineato lo stesso Prelato melchita, per apprezzare la grande ricchezza liturgica che è nella tradizione orientale. A pronunciare un breve commento dopo la lettura del Vangelo, don Guido Pietrogrande, Assistente spirituale nazionale del RnS, mentre si tocca con mano la Roccia dell'agonia su cui il Signore pianse nella notte in cui venne tradito e arrestato. «Questa Celebrazione eucaristica ci permette di essere presenti a Cristo e Lui a noi - ha affermato - e noi non possiamo che rispondere affermativamente, rimanendo con lui a vegliare. Lui si manifesta come grande, è il sangue di Gesù che intercede per noi: potremmo dire che, in molte circostanze delle vita, stiamo celebrando un insuccesso di Dio, ma sappiamo che celebriamo la vittoria di Dio tramite il sangue del giusto che ottiene a noi la pace e la salvezza». 

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Nel pomeriggio, l'attesa Via Crucis per le vie dell'antica Città di Davide, a ripercorrere il medesimo cammino di Gesù, carico della croce, verso il Calvario. Riuscire a pregare nel bel mezzo di un caos colorato dalla mercanzia dei suq si è rivelata, per molti, un'impresa “epica”: una contraddizione tra la fede professata e la realtà concreta che odora di usanze e tradizioni diverse, quelle del mondo arabo in particolare. Nessun timore, però, perchè, come sottolineato da don Guido, «è proprio  quando l'incertezza ci inquieta o ci disorienta, che ci accorgiamo che l'unica luce è Gesù». In fondo, non patì forse anche lui allora gli stessi dubbi, i medesimi scherni, le stesse fatiche quando, dopo essere stato flagellato, dovette condurre il pesante legno fino alla crocifissione?

È stato poi il libro di don Patrizio di Pinto, dedicato appunto alla «Via Crucis», a scandire le riflessioni di ogni stazione. «La croce di Cristo è il più “ingombrante” dei misteri della vita cristiana, ma non c'è mysterium salutis senza mysterium crucis», si legge in questo testo che rappresenta uno strumento  scaturito da un'idea semplice ma utilissimo per comprendere il senso di questo gesto così sentito da noi cattolici. 

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Prima della conclusione e dell'entrata al Santo Sepolcro, indubbiamente emozionante è stato il momento di Preghiera comunitaria nel cortile del Convento degli Abissini, guardando tutti verso l'alto quella croce rivestita dalle impalcature ma da cui filtra comunque la luce: attimi di profonda comunione spirituale e dialogo con Dio per grazia dello Spirito Santo, a ricordarci che, usando le parole di Salvatore Martinez, la Chiesa è «un cantiere sempre aperto e dobbiamo avere coraggio di guardarla illuminata dalla croce vittoriosa di Cristo». Ora Gesù, il cui corpo è stato deposto dalla croce, è «affidato a ciascuno di noi e invocando la protezione di Maria ci incamminiamo verso il Cenacolo per incontrarLo vivo e risorto, per invocare ancora una volta una nuova effusione dello Spirito», nel viaggio di una fede sempre da rinnovare e da mettere in missione.

Francesca Cipolloni

(01.08.2019)