La salvezza che passa per la
sofferenza (e le “contraddizioni”) della Croce
«Un amore crocifisso, il valore
salvifico della sofferenza». La giornata del 31 luglio, per i pellegrini in
Terra Santa, si è aperta nel cuore di Gerusalemme con il sesto insegnamento
tenuto da Salvatore Martinez. Prima di far visita ai luoghi santi
che hanno testimoniato il calvario, la morte e la resurrezione di Gesù, dal
Presidente nazionale del RnS è stata offerta una traccia per comprendere, alla
luce del Vangelo, il significato della croce nella nostra vita di credenti:
tutto a partire da quel luogo, il Getsemani o, comunemente detto, «Orto degli
Ulivi», dove in serata si è condivisa l'Ora Santa di Adorazione eucaristica
animata da Martinez. «A questo appuntamento con Gesù non possiamo mancare – ha
spiegato -, nè lasciare Gesù da solo a pregare, come gli apostoli i cui occhi
«si erano appesantiti» (Mt 26, 43). Dobbiamo ridestarci dal “sonno”: come
potremmo dirci credenti e non esperimentare questa ora? Molti pensano di
raggiungere la salvezza rifiutando la sofferenza, ma questo significa scadere
nel torpore di Satana: il riferimento è alle piaghe e ai mali del pensiero
moderno, che vede, ad esempio nell'eutanasia o nell'aborto, la soluzione finale
ai problemi della vita umana. «Solo vivendo il tempo del dolore e accettare il
peso della croce le tenebre si possono tramutare in luce. Siamo chiamati a
dare potere salvifico alla sofferenza, includendo Cristo nelle nostre
sofferenze», ha ribadito Salvatore Martinez. Eppure, «quanta gente maledice
Cristo per le sofferenze, gente che vuole mettere a morte la verità,
respingendo l'annuncio di salvezza. In Gesù, però, ogni mortificazione
produce glorificazione: in Gesù siamo glorificati, per la sua morte e
risurrezione. È solo sulla croce, infatti, che il Signore sarà riconosciuto non
come figlio di un carpentiere o di un miracolo verginale, come ma veramente
come figlio di Dio».
Quale messaggio portano queste parole nel nostro pellegrinaggio
che si avvia ormai alla conclusione? «Siamo venuti in Terra Santa per conoscere
la salvezza: questo significa essere discepoli di Gesù, non abbandonarlo
proprio ora, nel momento della prova. L'amore vero non sa mentire, ecco perchè
Gesù è messo a nudo: quando l'amore vero è messo a nudo non disdegna di
chiedere aiuto, come fa Cristo sulla croce, appunto». È sul Golgota che «il
figlio di Dio raggiunge la sua massima glorificazione, quando viene portato a
compimento il mistero salvifico di Gesù nella nostra carne crocifissa». È sul
Golgota che «Gesù muore per non farci morire e ci riscatta offrendosi in
riscatto».
Chi si adagia sul letto della croce, ha aggiunto Martinez, «non è un
ripudiato, bensì è un figlio amato come il Padre ama il Figlio». La croce
infatti, «costituisce il perno, il fulcro, la leva dell'amore divino. Ecco
perchè l'amore, per essere glorioso, deve essere crocifisso. Gesù non è venuto
ad eliminare la croce, che si vince sempre se sappiamo portarla». Inoltre, «nel
silenzio muto di Cristo Gesù in croce è il massimo canto della gloria di Dio.
Il Padre sarà glorificato nelle nostre vite solo se accetteremo la salvezza del
Figlio, se agiremo come salvati e non come schiavi, se ci impegneremo a vincere
lo spirito di morte ripetendo sempre: l'ultima parola spetta a Gesù».
Forti di questa verità da tradurre in
monito perpertuo, i pellegrini hanno poi mosso i propri passi verso la sommità
del Monte degli Ulivi, l'Edicola dell'Ascensione e le chiese del Pater
Noster, del Dominus Flevit e di Sant'Anna: lì, per le
strade oggi inghiottite dal traffico locale e un tempo percorse a piedi, tra
polvere e sudore, dal Signore, tra polvere e sudore.
La Santa Messa,
svoltasi nella Basilica delle Nazioni in rito bizantino nel giorno in cui la
Chiesa ricorda la memoria liturgica di San Giovanni Crisostomo, è stata
presieduta dall'Arcivescovo mons. Yasser Ayyash,Vicario del
Patriarcato di Antiochia dei Melchiti (Greci Melchiti Cattolici) – Arcieparchia
di Gerusalemme. arrestato. «È stata una meravigliosa esperienza ecumenica
e di unità nello Spirito Santo», come ha
sottolineato lo stesso Prelato melchita, per apprezzare la grande ricchezza
liturgica che è nella tradizione orientale. A pronunciare un breve commento
dopo la lettura del Vangelo, don Guido Pietrogrande, Assistente
spirituale nazionale del RnS, mentre si tocca con mano la Roccia dell'agonia su
cui il Signore pianse nella notte in cui venne tradito e arrestato. «Questa
Celebrazione eucaristica ci permette di essere presenti a Cristo e Lui a noi -
ha affermato - e noi non possiamo che rispondere affermativamente, rimanendo
con lui a vegliare. Lui si manifesta come grande, è il sangue di Gesù che
intercede per noi: potremmo dire che, in molte circostanze delle vita, stiamo
celebrando un insuccesso di Dio, ma sappiamo che celebriamo la vittoria di Dio
tramite il sangue del giusto che ottiene a noi la pace e la salvezza».
Nel pomeriggio,
l'attesa Via Crucis per le vie dell'antica Città di Davide, a
ripercorrere il medesimo cammino di Gesù, carico della croce, verso il
Calvario. Riuscire a pregare nel bel mezzo di un caos colorato dalla mercanzia
dei suq si è rivelata, per molti, un'impresa “epica”: una
contraddizione tra la fede professata e la realtà concreta che odora di usanze
e tradizioni diverse, quelle del mondo arabo in particolare. Nessun timore,
però, perchè, come sottolineato da don Guido, «è proprio quando
l'incertezza ci inquieta o ci disorienta, che ci accorgiamo che l'unica luce è
Gesù». In fondo, non patì forse anche lui allora gli stessi dubbi, i medesimi
scherni, le stesse fatiche quando, dopo essere stato flagellato, dovette
condurre il pesante legno fino alla crocifissione?
È stato poi il
libro di don Patrizio di Pinto, dedicato appunto alla «Via Crucis»,
a scandire le riflessioni di ogni stazione. «La croce di Cristo è il più
“ingombrante” dei misteri della vita cristiana, ma non c'è mysterium
salutis senza mysterium crucis», si legge in questo
testo che rappresenta uno strumento scaturito da un'idea semplice ma
utilissimo per comprendere il senso di questo gesto così sentito da noi
cattolici.
Prima della
conclusione e dell'entrata al Santo Sepolcro, indubbiamente emozionante è stato
il momento di Preghiera comunitaria nel cortile del Convento degli Abissini,
guardando tutti verso l'alto quella croce rivestita dalle impalcature ma da cui
filtra comunque la luce: attimi di profonda comunione spirituale e dialogo con
Dio per grazia dello Spirito Santo, a ricordarci che, usando le parole di
Salvatore Martinez, la Chiesa è «un cantiere sempre aperto e dobbiamo avere
coraggio di guardarla illuminata dalla croce vittoriosa di Cristo». Ora Gesù,
il cui corpo è stato deposto dalla croce, è «affidato a ciascuno di noi e
invocando la protezione di Maria ci incamminiamo verso il Cenacolo per
incontrarLo vivo e risorto, per invocare ancora una volta una nuova effusione
dello Spirito», nel viaggio di una fede sempre da rinnovare e da mettere in
missione.
Francesca Cipolloni