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Il volto della Misericordia infinita 
Celebrazione del sacramento della riconciliazione di mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni liturgiche Pontificie
42a Convocazione Nazionale RnS - Clicca per ingrandire...

Nella prima giornata della Convocazione, i fedeli vengono preparati al sacramento della confessione e della riconciliazione con Dio, attraverso l’esegesi, straordinariamente illuminante, di mons. Guido Marini. Prima di spiegare il racconto evangelico di Zaccheo, mons. Marini riprende una immagine di San Gregorio Magno, trasponendo idealmente i presenti in un giardino di fiori, dove la Parola di Dio viene respirata con il cuore. Bisogna avvicinarsi alla parola di Dio, infatti, come se si stesse per varcare l’entrata di un giardino fiorito, o con quell’ardore con cui l’amata – nel Cantico dei Cantici - desidera incontrare il suo amato. Al racconto evangelico della “conversione” del pubblicano Zaccheo, mons. Marini contrappone la “chiamata” del pubblicano Levi: le due figure rappresentano «la cornice dell’intero Vangelo perché l’uno si pone alla conclusione del ministero pubblico di Gesù, l’altro all’inizio». Tutta la missione di Gesù è sintetizzata in questi due brani evangelici che ci comunicano che «Cristo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». San Francesco di Sales, a questo proposito – ricorda mons. Marini - afferma che «Il Signore ha voluto fare della nostra miseria il trono della sua misericordia».

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Entrando nel dettaglio della pagina evangelica di Zaccheo, il Prelato osserva: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io» (cf 1 Tm 1, 15)). «Non siamo, dunque, dei semplici spettatori della pagina che parla di Zaccheo, ma dei protagonisti». Mons. Marini focalizza l’attenzione su ogni singola parola del testo evangelico, ricco di simbologie: la città di Gerico è letta come il simbolo del peccato in «cui “entra” Gesù e l’”attraversa”» per sconfiggere il male (ognuno di noi è una Gerico); Zaccheo, capo dei pubblicani (i peccatori pubblici) e ricco rappresenta l’uomo peccatore per eccellenza, impossibile da perdonare, ma non per il Dio dell’impossibile; e poi la piccolezza della sua statura, che richiama le nostre “piccolezze”, la mediocrità con cui conviviamo e che spesso si cronicizza nella nostra vita, impedendo «il nostro progresso spirituale».

E, ancora, Zaccheo che “corre e sale”: «due verbi bellissimi – continua mons. Marini – che ci parlano di un entusiasmo, di una passione del cuore… verbi di una vita cristiana viva».

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Anche la presenza del Sicomoro non è casuale: il sicomoro è un albero che produce frutti che, solo se incisi per fare uscire un liquido amaro, divengono dolcissimi. Il liquido amaro simboleggia, ancora una volta, il male, il peccato. Allora, anche «La Parola che stiamo ascoltando deve diventare quell’oggetto appuntito che, entrando nel cuore, nella nostra carne, nella nostra vita, faccia fuoriuscire tutto ciò che è amaro, contrario alla volontà di Dio su di noi».

Gesù ha fretta di cambiare la nostra vita, di convertire il nostro cuore: «”Zaccheo scendi subito perché oggi”… è il momento della tua salvezza; è oggi l’occasione di un incontro d’amore che ti cambia la vita». E nello stesso passo biblico si esplicita anche il mistero dell’incarnazione («devo fermarmi a casa tua»). Ciascuno di noi è chiamato a divenire terra santa, grembo della Vergine abitato da Dio. Il racconto evangelico si conclude con una conversione, un “cambiamento radicale”: «Voglio vivere come Gesù, voglio amare come ama Gesù, scegliere come sceglie Gesù». Dopo l’incontro con Cristo, niente è più come prima. Zaccheo decide di abbandonare la sua vecchia vita da peccatore, di restituire quanto rubato e ricominciare una vita nuova.

Con questo sentimento nel cuore, i fedeli si sono avvicinati al sacramento della confessione.

Daniela Di Domenico

(06.04.2019)