In un clima di gioia e gratitudine per quanto
compiuto da Gesù Buon Samaritano nella giornata dedicata alla guarigione, si
apre la sessione pomeridiana dal tema “Scegli dunque la vita, perché viva tu e
la tua discendenza” (Dt 30, 19b), un tempo di grazia durante il quale si è
toccato con mano come si possa essere “buoni samaritani” nel nostro tempo. A
introdurre questo momento è Mario Landi, coordinatore nazionale del RnS: «La
compassione di Gesù, ricorda, diventa la nostra compassione; l’opera di
guarigione di Gesù, che è un’opera di guarigione integrale dell’uomo, ci
coinvolge tutti. Vogliamo vedere come la locanda, che è la Chiesa, è luogo
della guarigione integrale dell’uomo».
A moderare la sessione pomeridiana è Lucia Ascione,
giornalista e conduttrice di Tv2000 la quale, dopo aver ringraziato per
l’opportunità, introduce gli ospiti convenuti per dare la loro testimonianza,
mettendo in evidenza come «la guarigione non riguarda
solo il singolo ma una comunità: non si guarisce da soli; senza la comunità la
guarigione non sarebbe completa».
La prima ospite che prende la parola è Luisa
Scipionato Nottegar, Cofondatrice della Comunità “Regina Pacis” insieme al marito, il medico Alessandro Nottegar,
venuto a mancare dopo appena un mese dalla nascita della comunità stessa, nel
settembre del 1986 e dichiarato venerabile da Papa Francesco. Fiduciosi nella
provvidenza di Dio, partono insieme per il Brasile con due figlie. Lì nasce la
loro terza figlia e rimangono per quattro anni a servizio dei malati più poveri
e dei lebbrosi: «Lui non solo curava i malati – afferma la Nottegar parlando
del suo sposo - ma si prendeva cura dei malati». Ammalatasi di malaria una
delle loro figlie, devono far ritorno in Italia, dove si sentono chiamati dal
Signore a dare testimonianza di come «anche gli sposi sono chiamati alla
santità». Un ruolo importante nella loro vita è segnato dall’incontro vissuto
con il Gruppo Maria di Verona, che li ha sostenuti anche economicamente durante
il loro periodo di permanenza in Brasile. «Sandro, che riesce a trovare lavoro
presso l’ospedale di Verona, - racconta la Nottegar – vende i campi ereditati
dal suo papà; tutto quello che abbiamo in banca lo mettiamo su un conto
corrente intestato alla Regina della Pace. Incominciamo a cercare una casa per
vivere come le prime comunità cristiane: una vita di preghiera, di accoglienza
e di servizio ai poveri e così si realizza questo sogno». A oggi “Regina Pacis”
ha 6 comunità: 3 in Brasile con 800 bambini, 1 a Medjugorje e 2 a Verona.
Un’esperienza importante sul tema che ha fatto da
filo conduttore durante la sessione pomeridiana, è stata quella narrata dal
secondo ospite, don Vincenzo Sorce, Fondatore e Presidente della “Casa Famiglia
Rosetta”, nata a Caltanissetta negli anni ottanta, le cui principali aree
d’intervento, a servizio della persona, si estendono da quella socio-sanitaria, psico-sociale, psicopedagogica,
a quella socio-culturale e spirituale-pastorale. «Sono qui questa sera
per testimoniare che Cristo è risorto ed è vivo in mezzo a noi – afferma don
Vincenzo – e ve lo dico come esperienza di questi anni». «Il Signore è entrato
nella mia vita in modo forte e inaspettato – continua il sacerdote – facendomi
incontrare un giovane affetto da sclerosi multipla, che ha chiesto il mio
aiuto». Da quel momento in poi la sua vita non sarà più la stessa: «Sono
infinitamente grato al Signore per avermi fatto diventare il discepolo dei
poveri alla scuola dei poveri, guardando il mondo con gli occhi dei poveri. Ho
scoperto che la povertà, la fragilità, la debolezza, è il luogo dell’incontro
con Dio. Il malato è il luogo teologico dell’incontro con Dio […] La sofferenza
è luogo del perdono. […] La strada diventa luogo della contemplazione: è lì,
nel povero, che incontriamo Dio. I poveri non sono di don Vincenzo, ma sono
nostri, di tutti, e tutti noi siamo chiamati a incontrare Dio in loro».
Di grande impatto anche l’intervento della terza
ospite, Sr. Costanza Galli, oncologa, responsabile dell’Unità cure palliative
(Hospice) dell’Ospedale di Livorno, appartenente all’ordine delle figlie della
Carità di San Vincenzo de Paoli. «Accompagnare – mette in evidenza Sr. Costanza
– è l’unico modo di essere cristiani, di vivere una testimonianza con la nostra
vita. Nel malato che accompagniamo c’è Gesù Cristo. La malattia,
l’invecchiamento, l’handicap, il deterioramento mentale o fisico sono il vero
tabù di questi nostri giorni. C’è una particolare responsabilità di noi
cristiani di stare proprio accanto a quelli che nessuno vuole considerare. Ci
sono categorie di persone che purtroppo non destano interesse politico ed
economico; anche nella nostra nazione si sceglie la scorciatoia di legiferare
con leggi che diano la possibilità a una persona malata di togliersi la vita,
ma non si combatte affinchè quella vita sia servita dignitosamente». Nel corso
del suo intervento, Sr. Costanza ha sottolineato che «la dignità è qualcosa che
ci viene dall’essere figli di Dio. La nostra dignità non è mai graduabile:
anche il peggior peccato, la peggiore situazione in cui noi ci possiamo
trovare, non la diminuisce. Noi siamo pezzetti di Dio che camminano sulla
terra». Ciò che ciascuno di noi è chiamato a fare è quello di prendersi cura di
ogni uomo, consapevoli della chiamata ad «amare
questi fratelli quando sembra non ci sia più niente da fare con l’unica cosa di
cui loro hanno bisogno: loro hanno bisogno di sentire una presenza, hanno
bisogno di sentirsi dire “Non preoccuparti, io sono accanto a te, restituendo
con la nostra testimonianza il senso della sofferenza
che si trovano a vivere».
A conferma delle meravigliose esperienze
di amore vissuto nella logica evangelica del Buon Samaritano, narrate con grande
efficacia dagli ospiti presenti, due importanti testimonianze: quella di Claudia, coordinatrice della comunità Santa Maria
degli Angeli di Marano, e quella di Mohamed, un detenuto che ha potuto
partecipare a questo momento della 41a Convocazione grazie ad un permesso
speciale ottenuto attraverso la Prison Fellowship in Italia. «Nel corso degli
anni – ha testimoniato Claudia - ci siamo chieste quale fosse il progetto di
Dio sulla comunità in quanto conoscevamo i gravi problemi familiari di alcune
sorelle [...] problemi da dipendenze da alcol, dalla droga e dal gioco
d’azzardo. Esseri umani ferite anche nei sentimenti, da tradimenti ed
incomprensioni. Nel nostro cuore nacque il desiderio di pregare costantemente
per loro. [...] Il Signore ci meraviglia ogni
giorno sempre di più, è sempre pronto ad aiutarci e a donarci il suo amore».
Nella seconda parte della sessione Mohammed ha testimoniato la grandezza di Dio
nella sua vita, a partire dalla partecipazione al Progetto Sicomoro che per lui
è stata «una
rinascita. Ho ritrovato la mia anima perché dopo quello che ho commesso ero
morto: chi uccide muore anche lui… . Io musulmano sono riuscito a vedere la
strada. Solo Dio sa cosa abbiamo nel cuore e io desidero amarlo. Sto facendo di
tutto per arrivare a questo. se un giorno arriverò a essere cristiano, non
avrò paura di perdere la vita ed essere ucciso a causa della mia conversione
perché io ho ucciso e la mia vita non è più preziosa di quella che ho tolto».
A conclusione di questo momento di condivisione e di
testimonianza, con un applausi finale che si è innalzato fino al cielo,
Salvatore Martinez, Presidente del RnS, ringrazia coloro che sono intervenuti
rendendo possibile il compimento di una nuova pagina della Cultura di
Pentecoste, volgendo la sua attenzione sul fatto che «noi siamo fatti per la
vita e la vita ha bisogno di fatti», e che siamo chiamati a rendere il culto
spirituale gradito a Dio (cf. Rm 12), facendo salire le nostre vite come
incenso gradito a Dio.
Veronica Diomede