"Ebbe compassione" (Lc 10, 33b). "Gesù,
colui che ci libera dai mali". Nella giornata dedicata alla misericordia, p.
Giulio Michelini, biblista, preside dell'Istituto teologico di Assisi, commenta
la parabola del buon Samaritano facendo immedesimare l'assemblea nelle figure
del sacerdote e del levita, e stigmatizzando, nel loro comportamento, alcuni
mali propri dell'anima dell'uomo e della società contemporanea. «Vedere non
basta», esordisce il Francescano. Entrambi, il sacerdote e il levita, videro
l'uomo vittima dei briganti, ma passarono oltre. Perché? L'indifferenza è una
delle prime motivazioni.
Il Francescano cita l'analisi dell'intellettuale
statunitense Susan Sontag per la quale è esperienza tipicamente moderna
«assistere da spettatori a calamità che avvengono in un altro paese». La Sontag
fa l'esempio dell'attentato dell'11 settembre 2001 al World Trade center: la realtà era percepita come un film. Il
Relatore ricorda che Papa Francesco, nel 2016, ha parlato di "globalizzazione
dell'indifferenza" per indicare che «l'atteggiamento di chi chiude il
cuore per non prendere in considerazione gli altri... ai nostri giorni ha
superato l'ambito individuale per assumere una dimensione globale».
Si può non fermarsi a soccorrere chi ha bisogno
anche per la fretta, come scriveva il cardinale Martini commentando la parabola
evangelica: «Il buon Samaritano - aggiunge il Relatore - è innanzitutto uno che
trova il tempo di fermarsi». Poi, ci si può non fermare per quello che sempre
Martini definiva "l'atteggiamento della delega": «Tanti cristiani -
scriveva il Cardinale - ritengono l'esercizio concreto della carità verso chi è
nel bisogno come un fatto facoltativo, che va delegato a chi ha tempo o
inclinazione a far questo».
E ancora, il sacerdote e il levita potrebbero aver
pensato che fermarsi non sarebbe servito a nulla. Eppure - continua il
Francescano - «il greco di Luca è preciso: quell'uomo non è morto, è hēmithanēs, "mezzo morto"... Non
saremo giudicati - continua - perché avremo finalmente sconfitto la povertà o
risolto il problema dell'immigrazione. Nel Vangelo Gesù invita a dare da
mangiare e da bere anche a uno solo dei piccoli che ne hanno bisogno (cf Mt 25,
35); chiede di ospitare almeno un forestiero (ibid.), di dare i vestiti almeno a un povero, di visitare una
persona malata, di andare a trovare un carcerato (cf Mt 25, 36). Gesù ci chiede
di fare almeno qualcosa, anche per una sola persona».
Prima di parlare della compassione del buon
Samaritano, l'unica in grado di guarire chi è caduto nelle mani dei briganti,
p. Michelini ricorda "la regola d'argento" dettata da un padre al
figlio, contenuta nel libro di Tobia ma anche in altri testi della tradizione
giudaica. Una regola che rappresenta un buon motivo per soccorrere chi ha
bisogno: «Ciò che a te non piace, non farlo al tuo prossimo. Questa è tutta la Torà, il resto è commento, va' e studia»
(Talmud babilonese, Shabbat 31).
«La regola d'oro - continua il Francescano - è
quella trasformata da Gesù: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a
voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7, 12)». Gesù, l'uomo della compassione:
«È l'avere compassione, l'impietosirsi - conclude -, a fare la differenza. Il
verbo usato da Luca nella parabola è lo stesso che dice la compassione di Gesù
per il lebbroso (cf Mc 1, 41), per la madre vedova di Nain (cf Lc 7, 13), per le
folle. Non per caso il Samaritano si ferma, ma perché quella era la sua
vocazione. La parabola ci insegna che l'incontro con Dio arriva quando meno te
l'aspetti, quando hai meno voglia e quando pensi che non sei in grado di aiutare
nessuno. È la logica dell'incarnazione. Ci aiuti Dio a non perdere più
occasioni di amare lui e il prossimo».
Lucia Romiti