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Un Rinnovamento trasfigurato e trasfigurante 
Omelia mons. Santo Marcianò
Omelia mons. Marcianò Assemblea 2017 - Clicca per ingrandire...

«Fratelli, richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo»: parte dalla Lettera agli Ebrei (cf Eb 10, 32-39), mons. Marcianò, per spezzare la Parola durante l’omelia della prima giornata di Assemblea nazionale. La Liturgia della Parola del giorno, infatti, offre un ampio percorso – tra memoria, presente e profezia – all’interno del quale l’Ordinario militare per l’Italia conduce per mano il Movimento, nel senso profondo di questi 50 anni di storia sacra.

«La Parola indica l’itinerario giubilare», partendo proprio da questi tre tempi: passato, presente, futuro.

«Il passato è la gioia della memoria: la celebrazione giubilare è, anzitutto, un tempo di ricordo. La “memoria dei primi tempi” (ibid.) è il ricordo di come “tutto” ha avuto inizio, un “tutto” onnicomprensivo, l’“ogni cosa” di cui parlavano i greci. Il testo biblico richiama alla mente anche un tempo duro e difficile, “una lotta grande e penosa”, ciononostante il ricordo non è triste, si colora di una gioia particolare, pasquale, eucaristica». La memoria «salvadanaio dello Spirito permette di andare indietro nel tempo per proiettarsi in avanti».

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Proiezione che va nella direzione dell’avanti odierno del «presente, in cui sperimentiamo la fiducia dell’abbandono. “Affida al Signore la tua via, confida in lui ed egli agirà” ci dice il Salmo 36. La fiducia ci permette di ricordare che l’opera per la quale si sta lavorando è dello Spirito: il senso di appartenenza da ritrovare si nutre della consapevolezza di una profonda appartenenza al Signore, nulla e nessuno potrò mai cancellare l’appartenenza a Dio, che rappresenta il punto di non ritorno che ci fa passare dall’anonimato all’identità, dalla solitudine alla comunione». Una consapevolezza che fa gridare con gioia «grazie Rinnovamento, grazie Spirito Santo!». E la memoria dell’appartenenza, consolidatasi nel tempo, impedisce alcun tipo di «rinnegamento del passato: ogni terreno arido va arato per essere reso fertile».

La fecondità del dono è il «futuro, il tempo in cui la promessa che Dio fa, la vita si compie. Come l’uomo che getta il seme nel terreno (cf Mc 4, 26-34), noi non conosciamo a priori il colore, il sapore dei frutti che lo Spirito farà sbocciare, ma ogni cammino si aprirà nel solco del carisma, del dono di noi stessi». Il tempo dello Spirito è un tempo nuovo: «Si è conclusa l’epoca veterotestamentaria, non ci sono più sacrifici di bestiame ma vittime sacrificali come Cristo: la nostra crocifissione si compie nella risurrezione già avvenuta di Gesù».

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Il frutto maturo è destinato alla falce: perché? «Perché è arrivata la mietitura e i rami dell’albero sono così grandi, ci dice l’Evangelista, che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Come il granellino di senape che diventa riparo per gli uccelli del cielo, «la ricchezza del Rinnovamento sta nel diventare grembo che apre i propri rami, raccoglie le membra dell’unico corpo e ogni carisma che in voi lo Spirito semina a piene mani. Questo vi farà maturare: se vi renderà spiga falciata, macinata perché altri siano sfamati. Chi non si dona è un seme che non germoglia».

Solo a questo punto, consapevole di questa appartenenza, «il Rinnovamento può dire l’“eccomi” del corpo finalmente tutto donato, il grido del corpo del Rinnovamento, trasfigurato e trasfigurante».

«“Gesù Cristo lo stesso ieri, oggi, sempre” (cf Eb 13) è il grido del Giubileo dell'Anno santo del 2000 – ha commentato Salvatore Martinez al termine della Celebrazione eucaristica, ringraziando mons. Santo Marcianò –. L’impegno che tutti noi come Rinnovamento possiamo prendere, in questo Giubileo d'Oro, è  ripetere con fede carismatica: “lo Spirito e noi ieri, oggi, sempre”». 

Elsa De Simone

(28.01.2017)