«Fratelli, richiamate alla
memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo»: parte dalla
Lettera agli Ebrei (cf Eb 10, 32-39), mons. Marcianò, per spezzare la Parola
durante l’omelia della prima giornata di Assemblea nazionale. La Liturgia della
Parola del giorno, infatti, offre un ampio percorso – tra memoria, presente e
profezia – all’interno del quale l’Ordinario militare per l’Italia conduce per
mano il Movimento, nel senso profondo di questi 50 anni di storia sacra.
«La Parola indica
l’itinerario giubilare», partendo proprio da questi tre tempi: passato,
presente, futuro.
«Il passato è la gioia della
memoria: la celebrazione giubilare è, anzitutto, un tempo di ricordo. La
“memoria dei primi tempi” (ibid.) è il ricordo di come “tutto” ha avuto
inizio, un “tutto” onnicomprensivo, l’“ogni cosa” di cui parlavano i greci. Il
testo biblico richiama alla mente anche un tempo duro e difficile, “una lotta
grande e penosa”, ciononostante il ricordo non è triste, si colora di una gioia
particolare, pasquale, eucaristica». La memoria «salvadanaio dello Spirito
permette di andare indietro nel tempo per proiettarsi in avanti».
Proiezione che va nella direzione
dell’avanti odierno del «presente, in cui sperimentiamo la fiducia dell’abbandono.
“Affida al Signore la tua via, confida in lui ed egli agirà” ci dice il Salmo
36. La fiducia ci permette di ricordare che l’opera per la quale si sta
lavorando è dello Spirito: il senso di appartenenza da ritrovare si nutre della
consapevolezza di una profonda appartenenza al Signore, nulla e nessuno potrò
mai cancellare l’appartenenza a Dio, che rappresenta il punto di non ritorno
che ci fa passare dall’anonimato all’identità, dalla solitudine alla
comunione». Una consapevolezza che fa gridare con gioia «grazie Rinnovamento,
grazie Spirito Santo!». E la memoria dell’appartenenza, consolidatasi nel
tempo, impedisce alcun tipo di «rinnegamento del passato: ogni terreno arido va
arato per essere reso fertile».
La fecondità del dono è il
«futuro, il tempo in cui la promessa che Dio fa, la vita si compie. Come l’uomo
che getta il seme nel terreno (cf Mc 4, 26-34), noi non conosciamo a priori il
colore, il sapore dei frutti che lo Spirito farà sbocciare, ma ogni cammino si
aprirà nel solco del carisma, del dono di noi stessi». Il tempo dello Spirito è
un tempo nuovo: «Si è conclusa l’epoca veterotestamentaria, non ci sono più
sacrifici di bestiame ma vittime sacrificali come Cristo: la nostra
crocifissione si compie nella risurrezione già avvenuta di Gesù».
Il frutto maturo è destinato alla
falce: perché? «Perché è arrivata la mietitura e i rami dell’albero sono così
grandi, ci dice l’Evangelista, che gli uccelli del cielo possono fare il nido
alla sua ombra». Come il granellino di senape che diventa riparo per gli
uccelli del cielo, «la ricchezza del Rinnovamento sta nel diventare grembo che
apre i propri rami, raccoglie le membra dell’unico corpo e ogni carisma che in
voi lo Spirito semina a piene mani. Questo vi farà maturare: se vi renderà
spiga falciata, macinata perché altri siano sfamati. Chi non si dona è un seme
che non germoglia».
Solo a questo punto,
consapevole di questa appartenenza, «il Rinnovamento può dire l’“eccomi” del
corpo finalmente tutto donato, il grido del corpo del Rinnovamento,
trasfigurato e trasfigurante».
«“Gesù Cristo lo stesso ieri,
oggi, sempre” (cf Eb 13) è il grido del Giubileo dell'Anno santo del 2000 – ha
commentato Salvatore Martinez al termine della Celebrazione eucaristica,
ringraziando mons. Santo Marcianò –. L’impegno che tutti noi come Rinnovamento
possiamo prendere, in questo Giubileo d'Oro, è ripetere con fede
carismatica: “lo Spirito e noi ieri, oggi, sempre”».
Elsa De Simone