«C’è una folla in cielo e una sulla terra. Le due
folle devono unirsi in questa Celebrazione: quella del cielo ci invita a unire
la nostra preghiera e la nostra lode, un’unica Celebrazione tra cielo e terra».
È la solennità di Ognissanti il riferimento liturgico da cui parte don Guido
Maria Pietrogrande, nell’omelia dell’ultima giornata della Conferenza
animatori. Il Consigliere spirituale nazionale del Movimento rilegge la Parola
del giorno alla luce del senso profondo dell’1 novembre, festa in cielo e in
terra, giorno di luce a cui tutti gli uomini sono chiamati. Un orizzonte di
beatitudine che passa, sulla terra, attraverso il discernimento del proprio
cammino e, anche, la tribolazione. «La grande perdizione – la mentalità del
mondo, l’individualismo imperante, la globalizzazione del crimine, l’ingiustizia
– non ci deve spaventare perché il criterio di discernimento per comprendere se
siamo discepoli è vedere se siamo capaci di passare attraverso di essa: in
questo modo laviamo la nostra vita nel sangue dell’Agnello».
La vocazione alla santità: per comprendere se si è
su questo cammino, il Signore dona dei criteri di discernimento. «Vuoi sapere
se sei mio discepolo? Ricevi misericordia e allora sarai misericordioso... San
Giovanni ci dice che siamo figli di Dio e il criterio di discernimento è
questo: “Sei un operatore di pace? Allora si vede che si figlio mio, perché io
sono il Dio della pace. Sei perseguitato e insultato senza un motivo o per il
grande motivo che appartieni a me? Allora sei veramente mio discepolo». La
beatitudine è, allora, il grimaldello del discernimento. «Non è possibile
introdurci in un discepolato che dura tutta la vita se non abbiamo criteri di
discernimento che ci dicono se siamo sulla strada di Dio o se stiamo
percorrendo strade nostre. La beatitudine è una grande fortuna perché “beato”
vuol dire felice, fortunato, graziato. Questa fortuna fa brillare i nostri
occhi. Quando annunciamo il kerygma dobbiamo avere gli occhi che sprizzano la
gioia di essere persone fortunate: siamo fortunati perché annunciamo quello che
ha toccato il cuore nostro, annunciamo quello che ci fa vivere, annunciamo
quello che Dio ha operato in noi scegliendoci».
Un annuncio fatto con la gioia nel cuore, anche se
fuori tutto sembra dolore: come raccontato dalla moglie di Nello – «il diacono
che rivestiva la casacca del posteggiatore perché tutti quanti noi trovassimo
posto» –, storico volontario e anziano nel cammino, che il Signore ha chiamato
a sé pochi mesi fa.
«Non ho mai avuto moti di rabbia interiore,
sconforto, mi sostenevano i miei fratelli di cammino – ha raccontato –. Ho
avuto un solo momento di grande angoscia e ho afferrato la Bibbia, sono andata
nella cappella, e al Signore ho chiesto luce. Il Signore prontamente mi ha
risposto: “Il Signore ha riscattato Giacobbe, l’ha salvato dalla mano d’uno più
forte di lui. Quelli verranno e canteranno di gioia sulle alture di Sion... io
muterò il loro lutto in gioia, li consolerò, li rallegrerò liberandoli del loro
dolore” (Ger 31, 11-13). Su questa Parola ho poggiato il mio dolore e la mia
speranza perché so che il Signore è Signore della vita e di tutto ciò che la
vita contiene, anche della morte, perché siamo stati riscattati a caro prezzo,
per mezzo del suo sangue preziosissimo. A noi interessava e interessa la vita
eterna».
Un annuncio di beatitudine nell’esperienza del
lutto, da chi «sta sperimentando il lutto, da chi può dire veramente che le
lacrime si trasformano in gioia, e mentre scorrono le lacrime c’è una gioia
profonda nel cuore che viene da Dio». E sulla felicità, gioia, “fortuna”, che
vien dal vivere nella propria vita le beatitutidini, don Guido pone il più
grande interrogativo: «Sono io veramente fortunato? Credo che questa pagina può
diventare il programma della mia vita? Credo che su questa pagina formeremo
comunità? Siamo come in una cordata e stiamo camminando verso la vetta della
santità. Ma si va insieme».
Elsa De
Simone