Nella
sessione dedicata alle testimonianze, al centro dell’attenzione sono alcune
delle tante opere di misericordia realizzate nelle regioni dai gruppi del RnS,
su invito del Comitato nazionale, per vivere il Giubileo della misericordia
nelle periferie, come auspicato da Papa Francesco. Un caleidoscopio che ci
restituisce l’immagine di un Rinnovamento vivo, carismatico, in azione.
Visitare
gli infermi
Testimonianza dei fratelli del
Lazio
All’inizio era un gruppetto di 5 fratelli provenienti
da luoghi diversi della città che si ritrovavano nella cappella dell’Ospedale
Sant’Andrea di Roma con lo stesso desiderio: rispondere alla chiamata del
Signore che chiedeva di realizzare in quel luogo un nuovo gruppo del
Rinnovamento nello Spirito Santo. Alla base di tutto c’era una profezia chiara:
«Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando e annunciando il Vangelo,
guarendo ogni sorta di malattia e infermità» (Mc 4, 23).
Così dal novembre del 2013 a oggi, lo Spirito
Santo ha costituito una piccola comunità che con fedeltà ha portato avanti la
missione ricevuta: ogni prima domenica del mese, dopo la Celebrazione eucaristica,
a due a due percorrono i reparti di degenza per visitare chi è nella
sofferenza. Con delicatezza avvicinano i malati, si interessano della loro
storia e pregano insieme a loro. Lodano e invocano lo Spirito Santo che si
effonde su tante sofferenze, paure e solitudini. Grazie al servizio dei
ministri straordinari dell’Eucaristia che li accompagnano, hanno potuto vedere tanti
cuori toccati dalla Grazia. E se si fanno vicini a fratelli che non possono
riceve Gesù Eucaristia, possono comunque stabilire con loro una comunione
spirituale mediante la preghiera, che porta sempre amore, gioia e pace. In
questo giubileo della misericordia “visitare gli infermi” è proprio l’opera di
misericordia che il RnS ha affidato alla regione Lazio; altri gruppi della
regione si stanno unendo in questa missione.
«Incontrare le sofferenze può essere
difficile e può generare un senso di rifiuto, ma noi testimoniamo che ogni
domenica, tornando a casa dalla nostra missione, portiamo nel cuore pace,
tenerezza, un rinnovato desiderio di pregare e di seguire Gesù vivo»
raccontano, ricordando che «Egli ha preso su di sé le nostre infermità, si è
caricato delle nostre malattie» (cf Is 53).
Anna Pugliese
Nella
debolezza ho conosciuto la misericordia di Dio
Testimonianza
di Abramo
«Vengo da una modesta famiglia del Senegal.
Rimasto orfano, mio fratello e mia sorella mi hanno educato con i valori del
coraggio, del rispetto, della solidarietà, della fede. Sono queste le prime
parole della testimonianza di Abramo Sylla, emigrato africano in cerca di
lavoro…
Laureato in scienze economiche e sociali, si
è sposato e ha avuto tre figli. Parla cinque lingue e ha sempre creduto di
dover essere lui l’attore principale del suo futuro. «Il mio cammino migratorio
è partito da un’offerta di lavoro a Parigi – ha raccontato -: ero la
testimonianza che un africano, emigrato alla ricerca di un lavoro, può farcela
senza vivere di espedienti giornalieri, spesso mal visto e mal sopportato dagli
altri, denigrato nella sua dignità».
Poi nel 2009 la crisi e la recessione gli
portano via il lavoro e si ritrova senza nulla. «Dopo mille peripezie mi
ritrovo in Calabria, a Rosarno, dove centinaia di giovani, provenienti da
diversi Paesi d’Africa, sopravvivono ogni giorno in condizioni di estrema
povertà, senza lavoro, senza possibilità di integrarsi. Anche in mezzo
all’inferno dell’abbandono, Dio non mi ha mai fatto perdere la speranza di una vita
giusta». A Rosarno conosce l’amicizia, prima di don Roberto e poi di Salvatore
Martinez, che lo aiuta a sentirsi utile per se stesso e per gli altri,
invitandolo a Caltagirone, presso il Fondo Sturzo, per divenire operatore in un
gruppo composto da detenuti, ex-detenuti e immigrati africani che vivono un
cammino di redenzione spirituale, morale e familiare. «Dopo questa prima
esperienza Salvatore mi ha affidato la mansione di mediatore culturale e
linguistico nel Centro di accoglienza per minori immigrati ad Aidone (EN)».
Favorire la convivenza di ragazzi cristiani e
musulmani, che parlano diverse lingue e dialetti, è un lavoro delicato e
difficile, ma quanto è bello vedere il frutto della giustizia in un mondo che
non favorisce la riconciliazione e la fraternità. Ha così trovato “18 figli” e
anche attraverso il suo “sì”, altri operatori e professionisti italiani possono
lavorare in Sicilia. «Ho imparato che la vera forza la si conosce quando si è
deboli, attraverso la misericordia di Dio che, anche questa mattina, non si è
dimenticato di svegliarci. Non dobbiamo dimenticare di lodarlo e di pregarlo.
Sandro
Gallo
Marcella
Reni, membro di CNS per
l’area carismatica e presidente dell’Associazione Prison Fellowship Italia (PFIt), ha presentato alcuni dei progetti
che caratterizzano l’Associazione e introdotto la testimonianza di Roberto,
detenuto condannato a “fine pena mai” nel Carcere di Opera di Milano. Vicino a
lui, Elisabetta, una vittima alla quale hanno ucciso il figlio, e Davide, un
altro detenuto del Carcere di Opera che ha aderito all’ultimo progetto Sicomoro
nel 2015.
Roberto (che ha partecipato al primo Progetto
Sicomoro) ha raccontato il suo percorso di vita e l’esperienza con il Progetto
Sicomoro. Accusato per reati di mafia e omicidi, e condannato all’ergastolo, la
sua vita cambia radicalmente dopo il primo incontro con le vittime di reati
analoghi a quelli da lui commessi. Il suo cuore prende coscienza del dolore
procurato ai familiari delle vittime e alla sua famiglia, una ferita aperta che
continua a sanguinare. «Mi sono ritrovato – ha raccontato Roberto - mano nella
mano in un cerchio formato da parenti di vittime e carnefici di mafia… il
Progetto Sicomoro mi ha fatto capire, attraverso una rielaborazione della mia
adolescenza di essere stato vittima anch’io. Infatti, nel 1984 mio padre fu
ucciso per un errore di persona. Da anni ho l’onore di andare nelle scuole e di
portare la mia esperienza negativa di vita affinché i giovani comprendano il
più possibile i danni che si creano e che segnano indelebilmente la società».
Davide si “imbatte” nel Progetto Sicomoro pochi
mesi fa, per caso: «Sono un detenuto del Carcere di Opera. All’improvviso mi
propongono di fare un incontro con vittime di reato». Poi, Davide sottolinea di
nuovo che lui, invece, è “un autore di reato”, quasi ad amplificare
quell’abisso che lo divide da chi ha perso un proprio caro o ha subito una
violenza. Lui decide di partecipare. «Tra queste persone c’era Elisabetta,
molto carica di rancore – ha detto Davide ricordando la sua esperienza durante
il Progetto -. Ci siamo “stuzzicati” un po’ e a un certo punto mi sono reso
conto che davanti non avevo una persona che era lì per giudicarmi ma una madre
che aveva perso suo figlio. E in questo momento succede una cosa inaspettata… Riassumendo,
il significato che do io al Sicomoro è la scoperta che la libertà non è una
condizione fisica ma una condizione mentale».
Anche Arnoldo
Mondadori ha intrapreso un Progetto del tutto speciale che risponde
pienamente all’opera di Misericordia “visitare i carcerati”. Quando aveva 9 anni, durante una
celebrazione, Arnoldo sente nel cuore una domanda: “Da dove viene questo Pane
speciale?”. «Sentii chiara – dice Arnoldo nel suo racconto - una voce che mi
disse: «Questo Pane viene dal Cielo». Da allora, Arnoldo Mondadori, ogni volta
che è davanti un Tabernacolo o che si accosta all’Eucaristia, è pienamente
convinto che nell’Eucarestia c’è tutta
la bellezza e la pace». Così Arnoldo sente nel cuore il bisogno di esprimere
questa Bellezza attraverso qualcosa di semplice ma allo stesso tempo
straordinario. Nasce così l’idea di «mettere su un laboratorio di ostie fatte
da mani che avessero commesso un delitto ma poi trasformate e portate al Papa».
Grazie al direttore del Carcere di Opera e all’operosità di tre detenuti,
questo sogno è diventato realtà e il 15 maggio, giorno di Pentecoste, le ostie
realizzate dai detenuti saranno consacrate da Papa Francesco.
Giacinto
Siciliano, direttore del
Carcere di Alta sicurezza milanese, avrebbe voluto dire molto di più ma il
tempo non gliel’ha permesso. Basta ascoltare la sua testimonianza sulla scelta
dei detenuti che hanno partecipato al Progetto per capire l’intensità di questo
percorso di riconciliazione e perdono: «Li abbiamo guardati negli occhi,
abbiamo scelto e abbiamo quasi imposto un qualcosa che nessuno aveva chiesto. È
stato difficile, è stato pesante, abbiamo visto muri, contrasti, paure, e poi
abbiamo visto crollare tutto quanto…». Nessuna promessa e nessuno sconto di
pena; solo la capacità di saper perdonare e di perdonare se stessi. «Io credo
che qualcosa sia cambiato – ha aggiunto Siciliano - e voglio testimoniare
quanto questo cambiamento sia incredibile per le persone detenute che lo hanno
vissuto, facendo pace con se stesse; è incredibile anche per le vittime che
sono entrate nel carcere e forse hanno trovato pace e serenità; ed è
incredibile, ve lo assicuro, anche per la struttura e l’Istituzione perché
assistere a questo cambiamento, a questo miracolo, ti dà la forza di cambiare
completamente l’approccio alla vita e al carcere».
Elisabetta, a cui è stato ucciso il figlio e che ha
partecipato al PS come vittima, ha sottolineato gli effetti positivi e
salvifici di questo Progetto. «Ho ricevuto molto di più di quello che ho dato».
Daniela
Di Domenico
Un
sogno divenuto realtà: le Tende della misericordia
La
testimonianza di don Lorenzo Fontana
La testimonianza di don Lorenzo Fontana
comincia con un’idea, un sogno che in poco tempo, in maniera inaspettata,
diventa realtà. L’idea è quella di Salvatore Martinez di realizzare, in quest’Anno
giubilare, delle “Tende della misericordia” in tutte le città d’Italia, dove
poter esercitare il sacramento della confessione. Il sogno è quello di don
Lorenzo, salesiano e coordinatore di gruppo di Verona. L’idea viene subito
accolta in modo positivo dal Vescovo che ne incoraggia la realizzazione. Ma ci vuole
anche il consenso delle Autorità civili. Anche il Sindaco, Flavio Tosi, si
dimostra favorevole. La montagna da superare sembra essere il Sovraintendente:
secondo le parole del Sindaco, non avrebbe mai accettato i tempi e la piazza
previsti per l’allestimento delle Tende. «Ci vuole un miracolo – dice il
Sindaco». Ma «le cose volute dal Signore le porta avanti Lui, nel suo stile
inconfondibile», risponde don Lorenzo proseguendo la testimonianza.
Infatti, anche il Sovraintendente accoglie
la proposta e in Piazza Bra, una delle più belle di Verona, viene allestita una
tenda di 200 mq. Intanto il Vescovo aveva già dato il consenso per aprire una
nuova Porta santa nella tenda. In occasione dell’apertura, la Tenda non riesce
a contenere il gran numero di fedeli affluiti. «Il Vescovo era commosso, non
entravamo tutti, e così fu per tutti i giorni», racconta ancora don Lorenzo.
Anche i giornali e le tv locali hanno dato grande risalto all’evento. «I
sacerdoti confessavano fino a tardi, sovente in varie lingue. La gente non
voleva che finisse. La presenza fortissima di Gesù ha toccato tanti cuori» e
continua a dispensare grazie a chiunque si rivolge a Lui.
LE
NOSTRE “SENTINELLE DELLA MISERICORDIA”
Strumenti
del Suo amore
La
testimonianza di Pasquale
«Mi chiamo Pasquale, vengo dalla diocesi
di Crotone-Santa Severina e sono referente RnS per i giovani. Ad agosto il
Comitato diocesano mi ha chiesto di invitare i ragazzi a partecipare ad “EstateEvangelizzando”
di Pescara». Comincia così la testimonianza di Pasquale che si ritrova a
“reclutare ragazzi” in un luogo dove, inizialmente, sembra che non ci siano
giovani innamorati di Cristo. «Non sapevo chi contattare – spiega Pasquale - ma
chiesi alla mia comunità di pregare per me e Gesù ci donò una Parola che non
lasciava dubbi: “Voce di uno che grida nel deserto, preparate le vie del
Signore” (Mt 3, 3). Con questa esortazione, Pasquale si mette alla ricerca e
raduna 10 ragazzi con cui partire per Pescara.
«Demmo inizio così – ricorda ancora
Pasquale - a incontri di preghiera settimanali che chiamammo “La Capanna di
Davide” in cui i ragazzi di comunità diverse potevano incontrarsi per pregare e
condividere l’esperienza dell’amore di Gesù». Nel frattempo, nel vicino paese
di Isola Capo Rizzuto il Signore stava suscitando qualcosa di simile: si formò
un gruppo con molti ragazzi. Con loro «organizzammo un incontro diocesano al
quale parteciparono una sessantina di ragazzi. Era la prima volta. Facemmo in
quel giorno esperienza dell’amore e della dolcezza di Dio. Ai piedi di Gesù
Eucarestia sperimentammo cos’è la misericordia: al termine della giornata quasi
tutti i giovani, senza nessuna esortazione, rimasero a confessarsi! I loro
volti iniziavano a cambiare. I nostri gruppi crescevano nel numero, ma
soprattutto in gioia e amore». Mancavano però i giovani di Cirò Marina.
Pasquale contatta allora i coordinatori di quei gruppi e organizza un incontro,
grazie anche all’aiuto di Teresa, che ha da poco perso il figlio diciottenne a
causa di un incidente stradale.
«Fu quello il primo memorial al quale parteciparono tutti gli amici di Giuseppe, il
figlio di Teresa. Erano tantissimi e noi eravamo abbastanza terrorizzati, ma lo
Spirito Santo ci diede forza e sapienza e riuscimmo a coinvolgerli… Nacque il
terzo gruppo de La Capanna di Davide proprio a Cirò Marina al quale da subito
lo Spirito Santo ha donato forza evangelizzatrice. Alcuni amici di Giuseppe
oggi sono qui per la prima volta a Rimini».
All’evangelizzazione dei giovani,
Pasquale ha aggiunto anche quella “degli ultimi”. Ad aprile «ci siamo recati in
un centro di recupero per tossicodipendenti e abbiamo pregato con loro. Il direttore
del centro ha espresso il desiderio di incontrarci ancora e spesso e noi non
mancheremo. In questi mesi Gesù ci ha dato di vivere la bellezza e la gioia di
diventare strumenti della Sua misericordia, incontrando ragazzi con serie
difficoltà».
Sintesi di Daniela Di Domenico
Guidati
dallo Spirito
La
testimonianza di Fabrizia e Nicola
Fabrizia testimonia
una bella scelta fatta dai giovani di Napoli, lo scorso 11 marzo nella chiesa
di San Michele Arcangelo: riconoscere Gesù come Signore per scendere poi in
piazza ed essere “sentinelle” lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. Dopo
aver accolto Gesù Eucaristia e aver invocato la potenza dello Spirito, i
ragazzi hanno ricevuto una croce, simbolo di ciò che andavano ad annunciare. A
due a due si sono messi in cerca dei “figli perduti”, per portare loro
misericordia e condurli ai piedi di Gesù. Nonostante il clima rigido e
l’indifferenza di molti giovani all’annuncio, hanno perseverato: «Ne abbiamo
ritrovati tanti – ha detto Fabrizia -, dopo, all’interno della Chiesa, mentre
si confessavano o ai piedi di Gesù. E tornando a casa a conclusione della
giornata nel cuore di tutti c’era un solo grido: “Gesù è il Signore”».
«Domenica 17 aprile – racconta Nicola - noi giovani ci siamo divisi in due strutture: una casa di
accoglienza per anziani e una struttura per disabili», così a Giugliano,
insieme, si sono fatti dono per portare a chi è nella fragilità e nella
sofferenza l’esperienza dell’amore di Dio e la gioia dei canti e della lode. I
ragazzi si sono messi in ascolto di tante storie, ma hanno raccontato anche le
loro. Insieme, poi, hanno potuto realizzare un piccolo desiderio degli ospiti
delle strutture: mangiare fuori, all’aperto, sull’erba. Ancora hanno potuto
ascoltare molte esperienze di vita quotidiana. Storie che hanno loro trasmesso
speranza, gioia e amore. Insomma ha detto infine Nicola: «Eravamo andati per
portare gioia e abbiamo ricevuto molto di più.
Servi della
misericordia
Elisa
porta la testimonianza dei giovani del Piemonte riguardo ad alcune opere di
misericordia.
I opera di
misericordia. I ragazzi della diocesi di Torino, che s’incontrano
mensilmente per pregare insieme e condividere la propria fede, in questo anno
hanno voluto dare un senso giubilare all’iniziativa. Provocati da una sorella
di cammino ricoverata in ospedale per un incidente, si sono ritrovati, nella
cappella del nosocomio, a fare intercessione davanti al Santissimo per la
salute di tutti i malati. «Straordinariamente – dice – la piccola Chiesa si è
riempita di giovani, anziani e parenti dei ricoverati», molti dei quali, senza
sapere chi questi ragazzi fossero o da dove venissero, hanno accolto con gioia
e commozione l’iniziativa.
II opera di
misericordia. In altro gruppo di giovani torinesi è nato il
desiderio di impegnarsi nell’opera di misericordia corporale: dar da mangiare
agli affamati. Insieme hanno preparato panini e bottigliette di acqua.
«Passeggiando a due a due per le vie del centro, offrivamo ai senzatetto ciò
che portavamo con noi, fermandoci a chiacchierare o a dire una semplice
preghiera con loro». I giovani sono rimasti profondamente colpiti dalle storie
di vita di queste persone, «vite segnate e volti che parlavano del loro bisogno
di amore».
III opera
di misericordia. I ragazzi della diocesi di Saluzzo hanno voluto
essere sentinelle di misericordia. «Abbiamo deciso di rimboccarci le maniche.
Ci siamo messi a cercare nei nostri armadi i vestiti più belli che non usiamo
più per donarli a un’associazione». Questo gesto li ha aiutati a riflettere su
quanto sia necessario svestirsi di tutto il superfluo che c’è anche nella loro
giovane vita. L’impegno che ne è nato è di continuare la raccolta di vestiti e
giocattoli «andando a cercare non solo nelle nostre case, ma in quelle dei
vicini, di amici e parenti».
Sintesi di Elena Dreoni