Ora ho anch’io qualcosa da dire!
Quando
una pioggia battente iniziava a imperversare su Piazza San Pietro, dinanzi a
Papa Francesco, ha risuonato la voce di Ugo, un giovane come tanti che, troppo
presto, ha dovuto confrontarsi con le difficoltà della vita: «Quando avevo due
anni, per problemi di tossicodipendenza, mia madre se ne andò di casa,
lasciando me e mio fratello alle cure della nonna. Di fatto, anche mio padre
andò a vivere in un’altra casa. Tutto questo faceva seguito al suicidio di mio
nonno. Mi sembravano tante condanne che si erano abbattute su di me». Ugo non
riesce a trovare un conforto che possa scalfire il velo di silenzi che
attanaglia il suo cuore di bambino, un velo che si traduce in «una completa
sfiducia nelle persone che mi stavano accanto. Ero un bambino diffidente e, crescendo,
ero diventato un ragazzo solo». Né lo studio, né le ore trascorse in
parrocchia, cercando di trovare un luogo in cui stare, riescono ad alleviare la
sua sofferenza. Ma, proprio nel momento più inaspettato, la vita di Ugo inizia
a incamminarsi su un nuovo sentiero: «Un giorno sento pregare e cantare ad alta
voce ragazzini come me, membri di un gruppo del Rinnovamento chiamato
“Giardinetto di Maria”, composto da bambini, ragazzi e dalle loro famiglie… Li
vedevo gioiosi, ma soprattutto vedevo che si volevano molto bene e che ciascuno
di loro aveva una famiglia che li accompagnava e li custodiva».
Un
iniziale disinteresse da parte di Ugo viene allontanato da un giovane
vice-parroco che lo spinge a partecipare agli incontri di preghiera e a
conoscere l’affetto e l’amore di una famiglia: «Rimasi colpito dalla loro
spontaneità, da come riuscissero a parlare con Dio e, allo stesso tempo, mi
domandavo come fosse possibile questa preghiera di grandi e piccoli insieme.
Per me era inconcepibile vedere padri e madri insieme nella gioia di pregare».
Arriva per Ugo l’esperienza del Seminario di vita nuova, al quale rinuncia
perché il muro di insicurezza e di sfiducia che lo affliggeva, pur scalfito, non
era ancora del tutto crollato: «Non mi fidavo di Dio… Cosa c’entrava con la mia
vita? Che cosa poteva ormai cambiare?». L’occasione di un nuovo Seminario segna
però l’inizio di un nuovo cammino: «Questa volta accettai di prendere in mano
la Bibbia e di fidarmi della parola di Dio… Scoprivo Gesù come una persona
viva, che aveva qualcosa da dire alla mia vita». Da quel momento per Ugo inizia
una nuova esistenza, fatta di amore e di esperienze meravigliose, perché ora ha
anche lui qualcosa da dire al mondo: «La parola di Dio mi ha rivelato che sono
amato, prezioso, che la mia esistenza ha un senso e un fine. Se Gesù ha ridato
speranza alla mia vita allora può donarla a tutti i ragazzi come me! E così non
smetto di evangelizzare, a scuola come negli ambienti in cui mi trovo».
«Grazie
Santo Padre – ha concluso Ugo – per quello che fai per tutti noi giovani,
soprattutto per coloro che soffrono senza una famiglia».
Giustizia e perdono
Le
parole di Vittorio, nativo di Palermo, padre e nonno, riecheggiano intrise di
commozione in Piazza San Pietro. La sua esperienza di vita, raccontata al
cospetto del Santo Padre e passata attraverso il difficile impegno della
magistratura, ha rievocato oscuri momenti di dolore che hanno indelebilmente macchiato
la storia recente del nostro Paese: «Per 48 anni ho lavorato in magistratura –
ha spiegato Vittorio –, percorrendo tutta la scala delle funzioni requirenti e
partecipando a tutte le attività giudiziarie possibili… Diressi io, dopo
essermi preparato in preghiera con mia moglie, il processo del più temuto boss
di mafia, Totò Riina». Ed è stato proprio attraverso la preghiera, attraverso
quell’incontro vero e quotidiano con Gesù, che Vittorio ha potuto sostenere le
pericolose prove che lo attendevano, ben consapevole di quanto rischiosa fosse la
sua strada verso la giustizia: «Io sono un sopravvissuto, venuto a contatto con
ogni tipo di criminalità. Un graziato dal Signore perché Gesù, nella mia vita,
è sempre stato il più forte! Quanta grazia dello Spirito Santo mi ha assistito
perché non diventassi il padrone delle vite degli altri o l’idolo di me stesso,
e che lui, solo lui rimanesse il Signore e il vero giudice». Una vita sotto
scorta e l’impossibilità di condurre un’esistenza normale hanno pesato sulla
vita di Vittorio, impedendogli di compiere quei piccoli, importanti gesti
quotidiani per un uomo di fede, come riuscire a compiere un cammino comunitario
all’interno di una parrocchia o partecipare all’incontro di preghiera del suo
gruppo nel Rinnovamento «al quale io e mia moglie – ha spiegato – apparteniamo
fin dal 1975, tra i primissimi in Sicilia, assieme all’indimenticabile padre
Matteo La Grua». E, ancora una volta, è nella preghiera che Vittorio trova il
conforto e la forza di colui che ha messo al centro della sua esistenza: «Ho
imparato che niente più della preghiera e dell’adorazione combattono il male.
Nel Rinnovamento ho toccato con mano che la giustizia senza misericordia è la
peggiore ingiustizia che un uomo possa subire, anche quando è colpevole e deve
scontare una pena».
«Ho visto tanto sangue innocente scorrere sotto i miei
occhi – ha continuato Vittorio –. La memoria di questo sangue versato nelle
strade della nostra città non deve essere cancellato». Perché martire è anche
colui che mette a rischio la propria vita per perseguire la causa della
giustizia, sacrificando se stesso perché si mantenga viva la speranza di un
mondo epurato dalla corruzione e dal malaffare. «Chi soffre per la causa della
giustizia non è mai un vinto, ma un vincitore. Grazie Santo Padre – ha concluso
–, perché continuamente ci esorta a combattere il male e a difendere il bene,
facendo del comandamento dell’amore e del perdono la nostra vera ragione di
vita».
Damiano Mattana