Nelle mani del Vasaio
«“Grazie
Gesù!”: è questa la preghiera che scaturisce oggi dal mio cuore mentre
contemplo con meraviglia e stupore l’opera di Dio nella mia vita». Queste le
parole di gratitudine di Veronica, giovane insegnante di religione che, per
tanti anni, è vissuta lontana dall’abbraccio di Dio, «di questo papà che ama i
propri figli», e che ha vissuto un cammino di fede passato attraverso la
difficile prova della malattia: «Durante l’adolescenza – ha raccontato Veronica
– vengo colpita da un’infiammazione del midollo osseo che mi costringe su una
sedia a rotelle, necessitando di cure, proprio come una bimba appena nata.
Mentre mi trovo in ospedale Gesù entra in punta di piedi nel mio cuore
dicendomi: “Io non ti ho mai abbandonata; ci sono sempre stato. Ora ti porto in
braccio perché voglio prendermi cura di te”».
È
in questo periodo che Veronica conosce il RnS, inizia il Seminario di vita
nuova e matura il desiderio di conoscere un amore nuovo, mai sperimentato
prima, un amore che guarisce: «Dopo alcuni mesi, Gesù mi fa un dono
inaspettato: mi fa alzare e camminare come prima. In quel momento comprendo che
il Signore vuole fare di me una creatura nuova: “Ora,
se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano
al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva
giusto” (Ger 18, 4)». Finalmente “modellata” da Gesù, la vita di
Veronica prende una strada nuova, nell’amore di una nuova famiglia: «L’appartenenza
al RnS è stata determinante nelle scelte intraprese nel mio percorso di studi e
lavorativo, rendendomi consapevole che non è possibile vivere un autentico
rinnovamento nello Spirito se non è seguito da un rinnovamento del contesto
sociale, politico, culturale, economico nel quale operiamo». Questo porta
Veronica ad approfondire la conoscenza di don Luigi Sturzo, coniugatore
eccellente di religione e politica, a intraprendere la Scuola di leadership
cristiana del RnS e lo Stage di approfondimento al Fondo Sturzo a Caltagirone
(CT), «attraverso le quali è stata donata ai giovani presenti l’opportunità di
irrobustire il proprio profilo spirituale e morale attraverso tre consegne
fondamentali: umanizzare la vita, cristianizzare la storia e spiritualizzare
l’uomo. Il Signore mi ha fatto comprendere che il tempo nel quale viviamo è un
tempo profetico, nel quale urge quella conversione pastorale che ci spinge a
essere testimoni delle ragioni dello Spirito nel mondo».
«Non
lasciamoci rubare la speranza del futuro! – ha concluso Veronica. Non
lasciamoci rubare la libertà! Corriamo il rischio della vita! Non mancano le
difficoltà, le sofferenze, ma in tutte queste situazioni siamo più che
vincitori in virtù di Colui che ci ha amato e ha donato tutto Se stesso per noi».
Damiano
Mattana
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Dio si è fidato di me
Ugo è un giovane del RnS, un ragazzo come tanti che, troppo presto, ha dovuto confrontarsi con una grande difficoltà: «All'età di due anni - ha raccontato Ugo - mia madre, per problemi di dipendenza da stupefacenti, se ne andò da casa, lasciando me e mio fratello Arrigo con mio padre e mia nonna. Ero troppo piccolo per rendermi conto di ciò che era accaduto, e quindi mi ero ben adattato alla situazione, sviluppando, però, una completa sfiducia nelle persone che mi stavano accanto». Una mancanza di fiducia che si ripercuote negli ambienti primari della vita del ragazzo come la famiglia, la scuola, ma anche nel suo rapporto con il Signore, a cui era stato avviato tramite i sacramenti senza mai, tuttavia, averlo incontrato davvero: «A un certo punto, mentre "bivaccavo" in parrocchia perché, insieme ad altri amici, non avevamo alcun posto dove andare e la voglia di studiare non c'era proprio - nessuno, infatti, si interessava se andassi bene o no a scuola -, spunta un gruppo di preghiera molto alternativo, fatto di famiglie. Cantavano, ballavano in chiesa, facevano dei "versi strani" con la voce! Erano sempre allegri e ci domandavamo: "Ma che avranno sempre da sorridere questi?"». Inizialmente non c'era interesse da parte di Ugo verso quegli individui stranamente felici, né tantomeno voglia di partecipazione. Eppure, una pressante curiosità spingeva il ragazzo a osservare da vicino quelle preghiere, quasi fossero un richiamo.
Spinto da un giovane parroco, Ugo viene invitato a un Seminario di vita nuova, al termine del quale rinuncia ad avere l'Effusione perché «ancora non mi fidavo degli adulti e nemmeno dei nuovi giovani che avevo conosciuto. Nessuno si offese, e continuarono a invitarmi. Ebbi così l'occasione di un secondo Seminario». Questa volta, il Signore cominciò a incrinare il muro di sfiducia che aveva fino ad allora invaso la vita di questo giovane, donandogli a tutti gli effetti una nuova famiglia: «In me cominciò a "sciogliersi" qualcosa: stavo imparando a fidarmi degli altri, grazie alla fiducia e alla pazienza che Gesù aveva avuto con me!».
Da quel giorno, Ugo inizia un cammino nuovo, fatto di amore ed esperienze meravigliose, a cominciare dal Campeggio giovani di Policoro: «Nel Rinnovamento - ha concluso Ugo - ho trovato una vera famiglia: ho tantissime mamme, tanti padri e un sacco di fratelli. Adesso sono persino controllatissimo con i compiti! Gesù, attraverso i fratelli, mi ha stravolto la vita come non mi sarei mai aspettato! Io non mi fidavo di Dio, ma lui si è fidato di me e non mi ha mai abbandonato».
Damiano Mattana
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Gesù abbatte le distanze
«Ringrazio e rifiuto!»: è stata questa la risposta di Giusi a chi le chiedeva di partecipare al Progetto Sicomoro a Tempo Pausania. Entrare in carcere e affrontare, da vittima, dieci detenuti non era assolutamente nei suoi programmi. «Nel gruppo si faceva adorazione per i detenuti e pochi giorni prima della data stabilita per entrare in carcere due sorelle pregano su di me. Sento nascere una forte chiamata, decido di acconsentire... Mi dico, entro solo una volta». Diffidenza e senso di sfida la pervadono: «Il mio primo pensiero è stato: se esco viva da qui, scappo di corsa e non ritorno più. Avevo di fronte dieci detenuti, i capi dei capi, la peggior specie che potessi incontrare». Da ascoltatrice di storie tremende, decide poi di parlare e raccontare la sua storia. «Avevo scelto di tacere, invece ho raccontato il male che ho subito e mentre parlavo li guardavo in faccia per vedere la loro reazione. Ho visto che erano rattristati per me. Così ho deciso che avrei potuto fare un altro incontro». La distanza che aveva messo tra sé e i detenuti, pian piano, lascia spazio a una imprevista compassione per la loro sofferenza e per il desiderio di avere una seconda possibilità. Partecipa a tutti gli incontri, scopre delle "persone" con tante ferite dietro il sigillo di carcerato. «Vederli soffrire e non poter fare niente per loro mi straziava. Già dal terzo incontro non facevo altro che pensare a loro e attendere la settimana successiva per rivederli». Il confronto è andato "oltre" la realtà carceraria: scoprire le famiglie di questi detenuti è stato un ulteriore arricchimento. «Conoscere le famiglie mi ha fatto capire che sono loro le vere vittime. Così il mio Sicomoro continua». Continua con l'accoglienza di quelle famiglie che, per problemi economici, erano impossibilitate a raggiungere i loro cari nei colloqui. «L'esperienza del carcere e del Sicomoro è stata importante, mi ha ridato fiducia in me stessa, ma l'esperienza di ospitare i familiari è ancora più bella. Queste persone sono vittime a loro volta, vengono rifiutate, maltrattate». Grazie al Progetto Sicomoro, Prison Fellowship è stata invitata dall'Istituto penitenziario a far parte di un progetto di Giustizia riparativa gestito dall'Università di Sassari: questa opportunità potrebbe permettere, ad alcuni detenuti, di essere ammessi a un'attività lavorativa o di volontariato e di ricongiungersi alle famiglie. «Ma a Tempio Pausania non esiste una struttura in grado di soddisfare queste esigenze. Allora ho iniziato a sognare: e se la aprissimo noi? E se fosse un sogno di Dio? Il Sicomoro, a parte la forza, il coraggio, il sorriso, la fiducia, mi ha ridato anche i sogni. Oggi ho uno scopo nella vita: aiutare gli ultimi e realizzare questo sogno».
Elsa De Simone