«Oggi si tratta di vedere o
non vedere, di essere guariti... perché l'umanità da sola non è in grado di
trarre se stessa dalle tenebre». Nella prima giornata di Convocazione è mons.
Antonino Raspanti, vescovo della diocesi di Acireale e vice presidente del
Comitato preparatorio del 5˚ Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, a presiedere
la Celebrazione eucaristica.
Commentando il Vangelo del
giorno, il Vescovo spiega il significato della domanda di Gesù ai due ciechi che
chiedono di essere guariti: «"Credete voi che io possa fare questo?"
(Mt 9, 28b). Gesù vuole che tu stesso entri dentro quello che stai chiedendo.
Vuole un'adesione piena, disarmante, semplice; un'apertura del cuore che è credere
che egli possa operare in noi quello che desideriamo, che egli magari ci ha
insegnato a desiderare attraverso lo Spirito». I due ciechi rispondono: «Sì, o Signore»
(Ibid.). Così possiamo, dobbiamo fare
anche noi.
Continua mons. Raspanti: «Alcune
volte Dio pone nelle tenebre - i santi e i dottori della Chiesa ce lo ricordano
- perché vuole che ci poniamo nell'ascolto, che non pretendiamo di vedere, di
sapere, di avere intelligenza. Lui ci vuole donare la sua intelligenza, perché
la nostra è troppo piccola. È un modo per farci portare frutto, per donarci la
luce; non un castigo ma una pedagogia divina. In Avvento 2014, guidati da
questo Papa, con una condizione di cattolicesimo italiano così complessa, dentro
una vita del Paese in grande crisi morale, di quanta luce e di quanta sapienza abbiamo
bisogno? E quanta arroganza, quante cattive abitudini, quanta presunzione, come
cristiani e come cittadini, dobbiamo deporre, dobbiamo lasciar cadere dalla nostra
vita? Con quanta umiltà - continua il Vescovo - dobbiamo cambiare metri di
valutazione perché Egli torni a donarci luce, a farci intendere la sua Parola?».
«Credete che io possa fare
questo?» (Mt 9, 28b). «Il nostro "sì", la nostra coerenza - conclude mons.
Raspanti - occorre portarla a casa. Occorre porci in ginocchio ad ascoltare
prima di decidere, prima di parlare. Perché sia aperto il nostro orecchio,
perché veda il nostro occhio».
Lucia Romiti
(05.12.2014)