Uno sguardo di “verità e di misericordia”,
un evento che si fa ponte e strumento di continuità non solo con il Sinodo straordinario
sulla Famiglia ma anche con il Concistoro sul Medio Oriente convocato il
prossimo 20 ottobre: il “Convegno sulle Famiglie in Medio Oriente” –
organizzato dalla Fondazione Vaticana “Centro
Internazionale Famiglia di Nazareth” in collaborazione con il Pontificio
Consiglio per la Famiglia, in occasione della III Assemblea Straordinaria dei
Vescovi sulla Famiglia – è stato un momento di confronto e discussione
estremamente interessante. Una occasione di dialogo, di conoscenza e
approfondimento, ma anche una importante opportunità per dare voce a chi vive
da testimone diretto i drammi, molte volte taciuti, di terre martoriate. Alla Pontificia Università Urbaniana, accolti da mons Vincenzo
Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, e da Salvatore
Martinez, presidente della Fondazione Vaticana “Centro Internazionale Famiglia
di Nazareth”, hanno parlato i rappresentanti di quelle Chiese d’Oriente
costantemente oltraggiate dalla violenza: Paesi Arabi, Chiesa Sira Cattolica,
Chiesa dei Caldei.
Un Convegno che «vuole accendere i riflettori – come ha sottolineato il moderatore
Vincenzo Morgante, giornalista Rai, in apertura dei lavori –, richiamare
l’impegno di completa solidarietà riguardo alle famiglie che vivono queste
situazioni di difficoltà. Il tema del Convegno – “Uno sguardo di verità e di
misericordia sulle Famiglie in Medio Oriente” – più che un titolo è un’esortazione e un impegno a uscire
dall’indifferenza per andare incontro a una situazione drammatica e concreta
dei nostri giorni. Solitamente ce ne occupiamo in casi di eccezionalità e poi
tutto cade nel dimenticatoio; il Convegno vuole essere, invece, occasione per
riflettere su questa situazione di profonda attualità».
Nel suo saluto, mons. Paglia si è rivolto ai Patriarchi orientali: «Ex Oriente
Lux: se a Occidente abbiamo
ricevuto la fede è perché viene da Oriente. Quello che voi vivete ci chiama a
esservi ancor più vicini. La nostra è una gratitudine che ha quasi duemila
anni: noi siamo figli anche vostri, di quella Terra che oggi vive un nuovo
martirio. Per questo la Fondazione Vaticana ha voluto legarsi all’Oriente
attraverso il Centro Internazionale che ha preso avvio proprio a Nazareth. Un
legame indissolubile. Ascoltando la testimonianza di una coppia di anziani costretti
a fuggire dalla propria terra, dalla propria casa, soltanto con i propri
vestiti, lasciandosi tutto alle spalle, il Santo Padre è rimasto molto colpito.
Il Papa ci ha ricordato che è necessario sentire il legame con le famiglie del
Medio Oriente. Il Convegno mostra e manifesta un affetto che mi auguro cresca e
si realizzi pienamente nel Centro Internazionale a Nazareth, che ci auguriamo
possa divenire un punto di riferimento per tutte le famiglie del mondo che si
ritrovano nel luogo in cui la Santa Famiglia è nata».
Al presidente Martinez il compito di dare le linee guida del Convegno: «Questo nostro Convegno è un atto d’amore.
Un atto d’amore verso la famiglia, la famiglia che soffre in Medio Oriente. E
l’amore, che non è un sentimento che va e che viene, ma è sempre istanza di
verità e di giustizia, impone a noi che si guardi a occhi nudi e a cuore aperto
il dramma di queste popolazioni medio orientali che sembrano “sperare senza
speranza”. Noi crediamo che l’amore di Dio è più forte della spada, della
morte, di ogni umana persecuzione. E questo amore noi vogliamo fare vincere.
Questo amore ci raduna; questo amore ci fa pregare; questo amore abbatte le
nostre distanze; questo amore ci fa soffrire con chi soffre e gioire con chi
gioisce; questo amore non ci può lasciare fermi e indifferenti. Cosa stiamo
facendo per questa generazione che vede solo ragioni di morte e di
disperazione? Cosa vogliamo, possiamo, dobbiamo fare perché questo nostro
mondo, in modo speciale il Medio Oriente, somigli sempre meno a un inferno? Non
c’è tempo da perdere, perché questa nuova generazione di famiglie e di figli si
è già affacciata all’orizzonte».
L’opportunità di ascoltare, da voci
protagoniste, il dramma vissuto dalle famiglie in Medio Oriente è stato, insieme,
un dono e un importante momento di riflessione. Non tanto perché l’infuocata
situazione di martirio delle comunità cristiane dell’Iraq, della Siria e di altri
Paesi non sia un fatto noto, quanto perché la risonanza mediatica che
riscontrano non è amplificata come sarebbe giusto. La guerra, il genocidio, gli
esodi forzati e trasudanti sangue a cui sono costrette le minoranze cristiane
in Medio Oriente sono prove crudeli, affrontate però nella convinzione che il
martirio non sia una colpa, ma l’estremo atto della testimonianza. Chiamato,
assieme ai suoi fratelli, a dare testimonianza dell’impegno della Chiesa tra
rifugiati, esiliati e martiri cristiani, il primo intervento è stato di Sua
Beatitudine Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme dei Latini: «Quando si parla della ricostruzione di Gaza,
ciò che mi chiedo è: chi saprà ricostruire l’elemento umano? Che tipo di
famiglia formerà un domani questa nuova generazione di cristiani, cresciuta con
la violenza?». L’esodo di numerose comunità cristiane ha profondamente
coinvolto la Giordania, terra in cui S. B. Twal svolge il suo compito pastorale.
Un martirio costante ma anche un’immutata speranza: «Le famiglie che accogliamo
non parlano ma il dramma è visibile nei loro occhi… Abbiamo avuto l’occasione
per dimostrare che tipo di Chiesa siamo, aiutando dei rifugiati siriani a
trovare un lavoro, pur non corrispondente alle loro qualifiche e nonostante il
dramma del mercato nero. Ci chiedevano di poter mangiare, ma con la loro
dignità di uomini e cristiani».
Ascolto. Non atti di pietà o richieste di
assistenza. S. B. Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei Siri,
ha scelto la via della franchezza: «Non farò omelie né chiederò supporti. Dirò
che i cristiani del nord dell’Iraq sono a rischio di sterminio, e non lo dico
per pietà. L’ISIS è composto da jihadisti che uccidono, sterminano e che rappresentano
lo Stato islamico. Il prossimo anno saranno trascorsi 100 anni dal genocidio
armeno e dei cristiani della Turchia… Eppure oggi ne viviamo uno nuovo. Ma è
questa la nostra vocazione: essere testimoni fino al martirio». L’occupazione
jihadista della piana di Ninive, nello scorso agosto, ha costretto tante
famiglie a lasciare le loro case e fuggire verso terre lontane da quelle dei
propri padri: «Abbiamo visto il loro dramma. Come torneranno alla loro terra? E
anche se venissero cacciati i fondamentalisti, chi ci dice che non ci sarà un
genocidio peggiore? Non chiediamo elemosine, anche se ci sono difficoltà.
Vogliamo solo vivere nelle nostre terre, con la nostra dignità di uomini. Non
sappiamo rispondere a chi ci chiede quando potrà tornare a casa. Nessuno dei
cristiani del Medio Oriente ha mai pensato solo al pane. Se così fosse stato,
molti si sarebbero convertiti all’Islam. Nessuno dei cristiani cacciati da
Mosul ha rinnegato la propria fede».
Non è un mondo di sangue e guerre quello
che il Signore ha creato, e S. B. Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia
dei Caldei, ha fatto risuonare nell’assemblea tutta la cruda illogicità della
guerra in Medio Oriente e la via di salvezza concessa dalla fedeltà al proprio
credo: «Le famiglie sono state salvate dalla loro preghiera. Una famiglia cristiana in Iraq è un modello
per i musulmani: quelle famiglie, quei bambini, sono una speranza. Si parla
della ricostruzione di Gaza… ma perché uccidere, distruggere e poi ricostruire?
È illogico! È una politica sporca, ma perché tutto questo? Perché 120 persone,
a Ninive, sono state costrette a lasciare la loro casa e camminare per ore,
nella notte, chiedendo il nostro aiuto?». Le famiglie vivono la
loro fede e sono punite. Come accettarlo? «La comunità internazionale – ha
aggiunto Sako – deve prendere coscienza della condizione di questi umiliati. I
gruppi che praticano violenze hanno armi e denaro. Noi cristiani siamo vittime
ma non perdiamo la speranza. Rimaniamo in quelle terre perché non tutti i
musulmani sono terroristi. Molti hanno bisogno di noi».
Agli interventi è seguito un momento di
domande e dibattito tra i testimoni e i presenti, che ha ulteriormente messo in
luce l’attualità e l’importanza del tema discusso: questioni che toccano i
cuori e interpellano la coscienza di ciascuno, anche di chi tiene in mano le
redini della politica economica più volte chiamata in causa dagli ospiti
stessi. «Occorre educazione, giustizia, dignità delle persone nel percorso da
fare insieme – ha sottolineato S.B. Twal –. La grande speranza è la pace». Tra
i padri sinodali presenti, anche il cardinale
Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo della diocesi di Seoul.
Nelle conclusioni al Convegno, il
presidente Martinez cita il Salmo 85 – «Misericordia e verità si incontreranno,
giustizia e pace si baceranno» – e le parole di Papa Francesco: «Il Santo Padre
ci chiede di promuovere una cultura dell’incontro e non dello scontro, noi la
chiamiamo Cultura di Pentecoste. La crisi vera è spirituale: ci è chiesta
un’umanizzazione della politica, dei rapporti interpersonali, ma innanzitutto
bisogna toccare la carne sofferente di Cristo. Come ci ha detto Benedetto XVI,
quando la coscienza si fa erronea e non è capace di distinguere tra bene e
male, allora ecco l’inferno. La coscienza vuole verità, giustizia, bene comune.
In un tempo e mondo globalizzato dobbiamo guardare a queste verità vicine spesso
segno di contraddizione: non possiamo tacere».
Elsa De Simone e Damiano Mattana