Caritas in
veritate: un serio esame di coscienza
di Salvatore Martinez, presidente nazionale RnS
Nel tempo della crisi non è in crisi la responsabilità per il futuro dell’uomo, quella carità intellettuale, luminosa e lungimirante, di cui la Chiesa si è sempre fatta carico nei momenti più bui e contraddittori della storia. Accadde con Leone XIII, all’inizio dell’ultimo secolo del secondo millennio, avviene ora con Benedetto XVI all’inizio del primo secolo del terzo millennio. Sullo sfondo l’eredità ancora incompresa di quel campione di umanesimo che è stato il servo di Dio Giovanni Paolo II: questa la scena nella quale si pone la terza enciclica del Santo Padre “Caritas in Veritate”. Intanto, perché “carità nella verità”? In primo luogo perché la carità impone il rigore della ragione e di una morale che non snaturino l’uomo, i suoi diritti nativi, i presupposti e i fini etici che regolano il suo agire, in ogni tempo e in ogni luogo. Già nella sua prima enciclica “Deus Caritas Est” il Santo Padre aveva richiamato il primato dell’amore di Dio per l’uomo; per la sua stessa natura, essendo universale incondizionato e inconfinabile, esso spinge l’uomo ad uscire da se stesso, dalle vedute miopi della storia. In secondo luogo perché l’uomo è chiamato all’eternità e ha un insopprimibile bisogno di confrontarsi con la verità del suo stesso essere uomo e uomo di destino. Di qui l’anelito alla verità: il Papa non ci offre una lettura “sentimentale” del reale, piuttosto una realistica e intelligibile riproposizione di principi chiari, con criteri di discernimento oggettivi e un nuovo ordine morale. Benedetto XVI ripropone una sfida ineludibile: il valore trascendente dell’uomo, non mercificabile, né mai soggiacente all’imperio del mercato, delle tecnologie e della scienza che sembrano avere preso il posto delle ideologie disumanizzanti del Novecento. In tale direzione l’enciclica ripropone il valore sociale delle religioni; segnatamente del ruolo del cristianesimo come “religione dell’umano”. L’Enciclica sottolinea l’urgenza di ristabilire l’unione e la sintesi di “umanesimo e cristianesimo”, quell’inscindibile binomio che la cultura odierna tende a separare e a contrapporre in nome della modernità, come esigenza dei tempi che si fa improbabile e infausto stile di vita. Il Papa esorta a passare dall’assolutismo della tecnica e del positivismo all’assolutismo dell’amore, di un amore vero, reale, integrale, che non esclude Dio, ma che include ed esalta la verità di Dio sull’uomo. Guardando alla globalizzazione, poi, il Papa afferma che non c’è bene comune senza responsabilità morali chiare, oggettive e condivise. Non sarà vera globalizzazione se la persona umana non sarà accolta, difesa, promossa nella globalità del suo essere, a partire dalla famiglia e proseguendo con un rinnovato impegno educativo alla solidarietà e alla sussidiarietà. Non ci saranno sviluppo plenario e bene comune e universale senza l’elevazione spirituale dell’uomo, senza “un’etica delle virtù” che rinnovi la cifra del sentire e dell’agire umano. Istituzioni, strutture sociali, culture hanno bisogno di un nuovo ethòs, che segni una profonda stagione di conversione e di rinnovamento degli stili di vita sociali. È tempo di un profondo rinnovamento spirituale! “La Chiesa e il mondo hanno bisogno di rinnovamento”, gridava il Pontefice ai giovani radunati a Sidney lo scorso anno. Ora Benedetto XVI ci dà le ragioni di questo impegno al quale tutti e ciascuno siamo chiamati. Il Rinnovamento nello Spirito saluta con gratitudine e con profondo interesse questa nuova enciclica del Papa, ancora più vicina agli uomini di buona volontà che hanno a cuore l’avventura umana del nostro secolo. Roma, 7 luglio 2009 |