Famiglia Cristiana
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Convegno Internazionale Sturziano
Articolo pubblicato giovedì 20 agosto 2009
FAMIGLIA CRISTIANA – 20 agosto 2009 Un progetto di recupero nella terra di don Sturzo “I frutti della redenzione” Nel nome di don Luigi Sturzo, a cinquant’anni dalla morte, la Sicilia si fa protagonista di un recupero dei suoi valori e della sua memoria mediante uno straordinario progetto: il Polo di eccellenza di promozione umana e della solidarietà, intitolato al fondatore del Partito Popolare e a suo fratello Mario, che fu vescovo di Piazza Armerina fra il 1903 e il 1941.
A fare
da capofila di un numero impressionante di iniziative, volte a creare
molteplici luoghi delle memorie sturziane, è la Fondazione «Mons.
Francesco Di Vincenzo», ente morale ed ecclesiastico costituita nel 1989
ad Enna per ricordare uno degli iniziatori del Rinnovamento nello
Spirito Santo in Sicilia, il quale donò tutti i propri beni affinché
venissero impiegati in opere di promozione religiosa e culturale.
«L’ottica della Fondazione», spiega la segretaria Anna Orlando, «è di
realizzare azioni a servizio e sostegno delle quattro formazioni sociali
in cui l’uomo nasce, cresce, si forma, si relaziona, realizza la sua
personalità: famiglia, Chiesa, cultura e lavoro». La cinquantina di ettari di terreno in contrada Russa dei Boschi, prosegue Martinez, «è la splendida cornice del progetto di redenzione sociale destinato alle povertà del mondo carcerario, in cui detenuti ed ex detenuti perseguono un processo di liberazione integrale, etico-spirituale e socio-culturale, che consenta il pieno recupero della loro dignità umana con il pieno coinvolgimento delle loro famiglie. Un luogo dove seminare speranza creatrice e fare interagire le componenti ecclesiali, sociali e culturali al di là di ogni steccato ideologico e di ogni discriminazione sociale ». Sin dal 2003 il ministero della Giustizia ha stipulato con la Fondazione un protocollo d’intesa per l’affidamento di carcerati, facendosi per la prima volta partner di un progetto di promozione umana dove laici e credenti sono uniti per la redenzione delle ingiustizie sociali legate alla detenzione. Detenuti in regime di semilibertà ed ex detenuti che in questi anni sono giunti qui hanno avuto l’opportunità di apprendere da esperti del settore sia i segreti della coltivazione dei campi, sia i metodi di produzione e di decorazione della famosa ceramica di Caltagirone. Per la responsabile delle attività culturali, Enza Cilia, già Sovrintendente del Museo regionale della ceramica, la grande sfida superata con successo è stata quella di coinvolgere tutti nella consapevolezza di lavorare per qualcosa di grande: «Partendo dal presupposto che i detenuti impegnati presso il Fondo Sturzo hanno dichiarato la loro disponibilità a percorrere un itinerario rieducativo di tipo morale e spirituale, la Fondazione ha avviato un programma di formazione professionale di alta specializzazione, allo scopo di trasferire competenze artigianali e artistiche che vanno perdendosi ». L’agronomo Claudio Petta è orgoglioso del lavoro fatto: «Abbiamo recuperato l’uliveto e l’agrumeto che erano stati abbandonati da decenni, ripristinando una produzione qualitativamente eccellente. In alcune aree stiamo realizzando percorsi guidati per illustrare la storia degli agrumi e dei mandorli. Un ampio spazio è destinato alla produzione di piante officinali (zafferano, rosmarino, origano, timo, aloe). Abbiamo inoltre allestito una stazione sperimentale di coltivazione del grano e tra breve pensiamo di avviare anche la viticultura». L’antica casa di campagna della famiglia Sturzo, un fatiscente immobile di 1.100 metri quadrati, è stata completamente ristrutturata. A piano terra si sviluppano la zona espositiva, dove possono essere acquistati i prodotti dell’agricoltura e le ceramiche, quella per la ristorazione e un’ala dedicata a museo, con l’esposizione dei costumi, degli arredi e degli utensili d’epoca degli Sturzo. Alle famiglie viene offerta l’opportunità di trascorrere qui giornate in libertà, godendo della natura e delle attrezzature del parco: un centro benessere, un itinerario di trekking, il laghetto della pesca sportiva, attività di gioco per i bambini. In un baglio, un altro casale a poca distanza, si sviluppano le botteghe per mostrare le tradizioni artigianali della zona, sotto la guida del coordinatore Salvatore Cafà. I principali sono l’incannucciatura, con la produzione di canestri e stuoie, l’impagliatura delle sedie, la lavorazione del ferro battuto, la realizzazione dei muretti a secco. Dall’esperienza è scaturito un progetto ancor più ambizioso, che si estenderà in una prima fase sperimentale in Campania, Lazio, Veneto e Lombardia. Si tratta dell’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro, che vede partecipi anche il Comitato nazionale per il microcredito, i governi regionali, la Caritas, il Rinnovamento nello Spirito, le Acli, la Coldiretti e la fondazione «Sviluppo Oasi Città Aperta». I protagonisti saranno sia soggetti in esecuzione di pena carceraria, sia ex detenuti a rischio di recidiva e privi di tutela sociale per il reinserimento. Verrà realizzata anche una banca dati con l’anagrafe di arti e mestieri di detenuti ed ex detenuti, coinvolgendo le reti sociali dei diversi settori e le organizzazioni dei datori di lavoro. Ma anche per le detenute con figli minori di tre anni nascerà una struttura dove attuare un percorso di inserimento sociale e lavorativo. Il progetto, in collaborazione con la Prefettura di Enna, si avvarrà di due ville confiscate alla mafia nel Comune di Villarosa. Le mamme saranno impegnate nella produzione di capi d’abbigliamento, in sinergia con un gruppo privato che curerà la commercializzazione, mentre per i piccoli è previsto un percorso di inserimento nella struttura e di socializzazione con altri bambini della realtà locale. Saverio Gaeta
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