Shalom!
“Spiccare il volo” è la prima cosa da fare per giungere in Israele, ma sembra paradigmatico del desiderio che accomuna all’aeroporto volti sconosciuti che ben presto saranno un solo corpo. Ci si riconosce pellegrini, ci si saluta e in tutti si scorge l’intima domanda: come sarà questo viaggio? Così ci si ritrova assieme ad attraversare il cielo per giungere nel Paese da dove sorge il Sole… Giunti sul cielo di Tel Aviv l’augurio che risuona nell’aereo è: “Evenu shalom...”. Shalom, pace, è il “ciao” che qui in Israele ognuno si scambia familiarmente per strada, è l’augurio biblico che raccoglie tutto l’insieme dei beni messianici promessi da Dio al suo popolo; shalom è soprattutto la prima parola detta da Gesù risorto incontrando i suoi: la prima parola del mondo nuovo! Corriamo verso il sud del Paese e da subito la nostra guida, il coordinatore regionale della Sicilia, Ignazio Cicchirillo, ci impegna a non perdere nemmeno “un iota” di tutto ciò che il Signore ha riservato per noi. L’aspetto turistico, che pure non mancherà di essere pieno di fascino e di sorprese, dovrà essere solo il “superfluo”, dopo aver perseguito con puntiglio una profonda esperienza spirituale.
Attraverso il deserto
Il nostro viaggio prende il via da Bersabea, la città del patriarca Abramo, il padre comune delle tre grandi religioni monoteistiche. L’attraversamento dei biblici deserti di Escol e Paran, ci riporta sulle orme dell’esodo del popolo d’Israele e ci introduce all’esperienza del fidanzamento con il Signore che avviene nel deserto, luogo dell’assenza della parola che prepara all’avvento della Parola. Israele abitò per quarant’anni nel deserto; Giovanni Battista vi svolse tutto il suo ministero; Gesù lo consacrò con i suoi quaranta giorni; Paolo stesso vi si ritirò dopo la conversione. Il deserto è anzitutto esperienza di silenzio, di povertà, di essenzialità, di tuffo nell’immenso, di percezione sensitiva della propria piccolezza e della assoluta dipendenza da Dio. È fare deserto dentro di sé, porsi i problemi reali e gli interrogativi personali più profondi.
Verso Gerusalemme
Dall’assenza della parola (il deserto), attraverso il luogo della presenza della Parola che si fa carne (Nazaret) e inaugura la nuova Terra Promessa, la nuova ed eterna Alleanza, prosegue la nostra salita a Gerusalemme. Cresce l’attesa per la Città Santa e lo Spirito prepara il nostro cuore a vivere l’esplosione della Pasqua. Da metà Vangelo in poi Luca ordina tutti i fatti e i detti di Gesù come una grande salita a Gerusalemme: è il vertice della sua missione, come del nostro pellegrinaggio. Salire a Gerusalemme era gioia e dovere di ogni israelita nelle tre feste principali di Pasqua, Pentecoste, Tabernacoli; per questi pellegrinaggi il libro dei Salmi ha una piccola raccolta di canti, dal 120 al 134, detti “Salmi ascensionali”. Anche noi potremo finalmente cantare: "E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!" (Sal 121, 2). E siamo sul monte Scopus: dall’alto della collina nord la Santa Città cinta da alte mura è tutta stretta attorno alla spianata del tempio dove brilla la cupola d’oro della moschea di Omar, e, a ovest, attorno alla grande rotonda del santo sepolcro, cuore cristiano della vecchia città. A sinistra la difende il monte degli Ulivi, a sud il monte detto del “cattivo consiglio”, a ovest il colle occidentale è scavalcato ora da tutto il dilagare della città nuova che si adagia da ogni parte su ampie colline; sotto di noi la spaccatura del torrente Cedron con il Getsemani.
Nel mistero
E qui, come ci suggerisce san Paolo in Ef 1, 18-23, la nostra ricerca si fa preghiera. In questa santa città, nel luogo della risurrezione e della Pentecoste ci sentiamo davvero corpo di Cristo, davvero Chiesa. Qui noi ne abbiamo fatto esperienza e da qui vogliamo testimoniarlo. "Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia mano; la mia lingua si incolli al palato se non sei il mio continuo pensiero, il colmo della mia gioia, Gerusalemme" (cf Sal 136, 5-6). Diceva Paolo VI: "Tutti hanno cercato di conquistare Gerusalemme e ancora oggi se la contendono, ma non si accorgono che è Gerusalemme a conquistare loro". “L’anno venturo a Gerusalemme!”. Così pregano e si augurano a ogni pasqua gli ebrei dispersi nel mondo: è l’anelito di voler ritornare alle proprie radici, nella Gerusalemme di quaggiù, segno della Gerusalemme di lassù, cui ognuno è incamminato dopo il pellegrinaggio della vita terrena. È quel che anche noi ci siamo augurati al termine del nostro pellegrinaggio! Scrive il profeta Ezechiele: "Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 36, 26). Quei sassi attorno a Gerusalemme sono appunto i cuori di pietra che milioni di pellegrini hanno lasciato nella santa città, cambiandolo con un cuore di carne. È l’augurio che faccio anche a te, caro pellegrino di Terra Santa, che ti accingi a intraprendere il tuo viaggio: un cuore nuovo sia il risultato della tua fatica, dopo che ti sarai incontrato con la presenza viva e misteriosa di quel Dio-con-noi, l’Emmanuele, che proprio in questa terra ha preso carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cf Gv 1, 14).
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