Terra santa: alle radici
della fede
a cura di don Piero Sortino
Dopo una pausa di
parecchi anni - su iniziativa della Cooperativa Servizi RnS e sotto
la sapente guida di Ignazio Cicchirillo - riprende il via la
proposta di pellegrinaggi in Terra Santa organizzati dal
Rinnovamento nello Spirito. Una “porta santa” aperta sulle radici
della nostra fede, da attraversare per compiere un itinerario
spirituale del tutto speciale. Un’occasione per tutti, soprattutto
per i fratelli che aderiscono al Movimento, di mettersi in viaggio
sulle orme di Cristo e degli apostoli. Queste note vogliono essere,
più che un puntuale diario di viaggio, la scoperta e il senso di un
pellegrinaggio in Israele. Per solleticare in tutti il desiderio di
compierlo personalmente.
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Shalom!
“Spiccare il volo” è la prima cosa da fare per giungere in Israele, ma
sembra paradigmatico del desiderio che accomuna all’aeroporto volti
sconosciuti che ben presto saranno un solo corpo. Ci si riconosce
pellegrini, ci si saluta e
in
tutti si scorge l’intima domanda: come sarà questo viaggio? Così ci si
ritrova assieme ad attraversare il cielo per giungere nel Paese da dove
sorge il Sole…
Giunti
sul cielo di Tel Aviv l’augurio che risuona nell’aereo è: “Evenu
shalom...”. Shalom, pace, è il “ciao” che qui in Israele
ognuno si scambia familiarmente per strada, è l’augurio biblico che
raccoglie tutto l’insieme dei beni messianici promessi da Dio al suo
popolo; shalom è soprattutto la prima parola detta da Gesù
risorto incontrando i suoi: la prima parola del mondo nuovo!
Corriamo verso il sud del Paese e da subito la nostra guida, il
coordinatore regionale della Sicilia, Ignazio Cicchirillo, ci impegna a
non perdere nemmeno “un iota” di tutto ciò che il Signore ha riservato
per noi. L’aspetto turistico, che pure non mancherà di essere pieno di
fascino e di sorprese, dovrà essere solo il “superfluo”, dopo aver
perseguito con puntiglio una profonda esperienza spirituale.
Attraverso il deserto
Il
nostro viaggio prende il via da Bersabea, la città del patriarca Abramo,
il padre comune delle tre grandi religioni monoteistiche.
L’attraversamento dei biblici deserti di Escol e Paran, ci riporta sulle
orme dell’esodo del popolo d’Israele e ci introduce all’esperienza del
fidanzamento con il Signore che avviene nel deserto, luogo dell’assenza
della parola che prepara all’avvento della Parola. Israele abitò per
quarant’anni nel deserto; Giovanni Battista vi svolse tutto il suo
ministero; Gesù lo consacrò con i suoi quaranta giorni; Paolo stesso vi
si ritirò dopo la conversione. Il deserto è anzitutto esperienza di
silenzio, di povertà, di essenzialità, di tuffo nell’immenso, di
percezione sensitiva della propria piccolezza e della assoluta
dipendenza da Dio. È fare deserto dentro di sé, porsi i problemi reali e
gli interrogativi personali più profondi.
Verso Gerusalemme
Dall’assenza
della parola (il deserto), attraverso il luogo della presenza
della Parola che si fa carne (Nazaret) e inaugura la nuova Terra
Promessa,
la
nuova ed eterna Alleanza, prosegue la nostra salita a Gerusalemme.
Cresce l’attesa
per la Città Santa e lo Spirito prepara il nostro cuore a vivere
l’esplosione della Pasqua. Da metà Vangelo in poi Luca ordina tutti i
fatti e i detti di Gesù come una grande salita a Gerusalemme: è il
vertice della sua missione, come del nostro pellegrinaggio. Salire a
Gerusalemme era gioia e dovere di ogni israelita nelle tre feste
principali di Pasqua, Pentecoste, Tabernacoli; per questi pellegrinaggi
il libro dei Salmi ha una piccola raccolta di canti, dal 120 al 134,
detti “Salmi ascensionali”. Anche noi potremo finalmente cantare: "E
ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!" (Sal 121,
2). E siamo sul monte Scopus: dall’alto della collina nord la Santa
Città cinta da alte mura è tutta stretta attorno alla spianata del
tempio dove brilla la cupola d’oro della moschea di Omar, e, a ovest,
attorno alla grande rotonda del santo sepolcro, cuore cristiano della
vecchia città. A sinistra la difende il monte degli Ulivi, a sud il
monte detto del “cattivo consiglio”, a ovest il colle occidentale è
scavalcato ora da tutto il dilagare della città nuova che si adagia da
ogni parte su ampie colline; sotto di noi la spaccatura del torrente
Cedron con il Getsemani.
Nel mistero
E
qui, come ci suggerisce san Paolo in Ef 1, 18-23, la nostra ricerca si
fa preghiera. In questa santa città, nel luogo della risurrezione e
della Pentecoste ci sentiamo davvero corpo di Cristo, davvero Chiesa.
Qui noi ne abbiamo fatto esperienza e da qui vogliamo testimoniarlo.
"Se ti dimentico, Gerusalemme, si
paralizzi la mia mano; la mia lingua si incolli al palato se non sei il
mio continuo pensiero, il colmo della mia gioia, Gerusalemme" (cf Sal
136, 5-6). Diceva Paolo VI: "Tutti hanno cercato di conquistare
Gerusalemme e ancora oggi se la contendono, ma non si accorgono che è
Gerusalemme a conquistare loro".
“L’anno venturo a Gerusalemme!”. Così pregano e si augurano a ogni
pasqua gli ebrei dispersi nel mondo: è l’anelito di voler ritornare alle
proprie radici, nella Gerusalemme di quaggiù, segno della Gerusalemme di
lassù, cui ognuno è incamminato dopo il pellegrinaggio della vita
terrena. È quel che anche noi ci siamo augurati al termine del nostro
pellegrinaggio!
Scrive il profeta Ezechiele: "Toglierò da voi il cuore di pietra e vi
darò un cuore di carne" (Ez 36, 26). Quei sassi attorno a Gerusalemme
sono appunto i cuori di pietra che milioni di pellegrini hanno lasciato
nella santa città, cambiandolo con un cuore di carne. È l’augurio che
faccio anche a te, caro pellegrino di Terra Santa, che ti accingi a
intraprendere il tuo viaggio: un cuore nuovo sia il risultato della tua
fatica, dopo che ti sarai incontrato con la presenza viva e misteriosa
di quel Dio-con-noi,
l’Emmanuele, che proprio in questa terra ha preso carne e ha posto la
sua dimora in mezzo a noi (cf Gv 1, 14).
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