Si è svolto a Troina (EN)
l'importante convegno sul tema "Il disagio sociale oggi: Esperienze a
Confronto". Tra i numerosi partecipanti all'incontro (autorità locali,
politici, docenti universitari, religiosi) anche Salvatore Martinez -
Coordinatore Nazionale del RnS - di cui pubblichiamo integralmente
l'intervento.
“La nuova fragilità dei giovani: il ruolo del lavoro e della famiglia”
Intervento di Salvatore Martinez
INTRODUZIONE
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Ritengo questo Convegno il frutto di una preoccupazione educativa, una
risposta propositiva di uomini di fede e di buona volontà che
intendono rispondere alla necessità sempre più evidente di educare
alla socialità, educare i giovani alla socialità.
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Sì, perché ogni disagio sociale è un ritardo educativo, ancor peggio,
talvolta è il degrado di una coscienza civile che sta smarrendo il
senso della solidarietà politica e delle sue vere basi etiche!
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Il disagio sociale dei giovani è espressione dei ritardi e delle
contraddizioni esistenti nello Stato sociale.
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Sono anni, ormai che si argomenta sullo stato sociale. Alcuni ne
lamentano la "crisi", altri la "non piena attuazione", altri ancora ne
dichiarano il fallimento o il suo superamento. Il pericolo più grande
è quello di non affrontare la crisi nella sua complessità.
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"Le democrazie non possono fare a meno di essere ipocrite più di
quanto i dittatori possano fare a meno di essere cinici" (Georges
Bernanos, Noi altri francesi)
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Non si può costruire una comunità più giusta per tutti senza un
disegno organico di Stato e di società, senza una visione chiara e
integrale dell’uomo e dei suoi molteplici rapporti, senza affrontare e
risolvere le cause più profonde che sono alla base dell'attuale crisi,
in particolare il grave calo di tensione morale e la perdita del
riferimento a quei valori un tempo condivisi che affondano le loro
radici nella tradizione e nella cultura cristiana.
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Un esempio eclatante, al di là di ogni rivendicazione confessionale.
dal momento che si tratta di un dato storico, è data dalla voluta
omissione delle radici cristiane del continente europeo a fondamento
della nostra civiltà occidentale. L'altro ieri è stata presentata
dall'organo di presidenza della Convenzione la Bozza di costituzione
della Unione Europea. Nel Preambolo del documento manca del tutto un
esplicito riferimento al ruolo esercitato dal cristianesimo
nell’affermazione concreta di certi valori che hanno fondato la nostra
comune tradizione democratica, la difesa della dignità dell'uomo,
della donna, dei giovani, dei figli, della famiglia.
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È un'omissione pesante non fare riferimento alla tradizione storica
che ha dato vita all'Europa. Siamo davanti ad un malinteso
pregiudizio, come se l'affermazione di una verità storica fosse stata
scambiata per una rivendicazione. E temo che anche quando si tratta
dei diritti fondamentali delle persone, quando si parla della dignità
dell'uomo nel suo divenire storico, si scambino le verità fondamentali
con delle rivendicazioni.
Stato sociale
Lo “stato sociale" trova la sua costruzione su quei pilastri fondati dai
Padri della nostra Repubblica nella Costituzione:
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i valori della persona e l'impegno collettivo per la promozione di ogni
essere umano, così da garantire ai soggetti deboli il diritto di essere
liberati dalla loro condizione di precarietà;
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il collegamento inscindibile tra l’esercizio dei diritti riconosciuti
come inviolabili e l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica, sociale;
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la sussidiarietà intesa come apertura alle formazioni sociali intermedie
e la solidarietà come obiettivo primario dell’intera azione sociale;
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il fine del bene comune inteso come l’insieme delle condizioni
giuridiche, politiche, sociali ed economiche che rendono effettivo
l'esercizio dei diritti e possibile il pieno sviluppo della persona
umana.
Teillard de Chardin diceva: "L'unico vero progresso della storia umana è
dovuto all'organizzazione sociale. L'unico vero luogo del progresso
umano è sul piano dell'organismo sociale".
Crisi dello Stato sociale
"La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a
realizzare la democrazia" (Jacques Maritain, Cristianesimo e
democrazia).
"Quando saremo tutti colpevoli, sarà la democrazia" (Albert Camus, La
caduta).
Crisi dei valori
- caduta del senso della socialità
che ha prodotto tendenze egoistiche, aumentato le pretese dei singoli,
l’egemonia dei più forti;
- caduta del senso della legalità
che ha prodotto un inquinamento della cultura delle regole di una
convivenza ordinata
Crisi dei partiti
- La gestione politica dello stato sociale ha fatto sì che i partiti
snaturassero i suoi fini, anteponendo interessi privati, di
conservazione degli apparati, al soddisfacimento dei bisogni sociali
individuali e collettivi.
Ne è derivata una profonda caduta della cittadinanza: si vale non
perché cittadini, ma solo perché si appartiene e solo fino a quando si
appartiene ad un gruppo, un sindacato, una corporazione, una lobby
economica. Ciò ha portato ad un progressivo disimpegno sociale e
politico dei cittadini, la rinuncia al coinvolgimento, la perdita del
principio di responsabilità.
Crisi della moralità economica
-Sul piano economico una gran quantità di risorse comuni destinate allo
sviluppo sociale e alla promozione umana sono state e continuano ad
essere dirottate per il sostegno delle imprese private, senza troppe
distinzioni tra gli obiettivi della produzione - in modo particolare
legate al mondo giovanile sottoccupato o disoccupato - e gli obiettivi
della speculazione e del lucro. Viene in tal modo messo a repentaglio un
altro fondamentale principio, il principio di solidarietà e di giustizia
sociale.
Stato sociale e vita morale
Un destino si dispiega allorché una liberta si realizza. Tale è
t'aspetto indissolubile del passaggio dell’essere nel tempo. Il fondo
dell'essere umano non cambierà mai. L'umanità intera progredisce o
regredisce se il significato della vita morale subisce un'evoluzione o
un'involuzione:
- società senza memoria e senza sogni.
Mai il presente può essere vissuto per ciò che è in sé, perché sempre in
relazione con il passato o con il futuro. È in atto una grossa crisi
della temporalità, l'incapacità di vivere la propria vita come una
storia, in cui c'è una progettualità che ti responsabilizza rispetto al
passato e rispetto al futuro;
- società senza il pudore dei sentimenti.
Società senza privacy, in cui l'intimità, il pudore nel seno dei
sentimenti tende a sparire perché ormai la scena e i retro scena sono
fusi: non s'è più retroscena, ma solo scena. Tutto diventa pubblico,
tutto è oggetto di spettacolo;
- società senza luoghi.
Un luogo conferisce una particolare identità, un sistema di relazioni
particolari, di identità. Oggi non c'è più una separazione dell'identità
dei modi di vita, c'è un'omogeneizzazione. Oggi i ragazzi a scuola si
comportano esattamente come si comportano in piazza, in strada, perché
la scuola tende a diventare un "non luogo", cioè non offre più ai
giovani un particolare sistema relazionale. Oggi i luoghi sono
interscambiabili, non offrono più identità. Oggi fioriscono, di contro,
i non luoghi che stanno velocemente sostituendo i “luoghi" che
tradizionalmente sono stati i soggetti relazionali e identificativi del
processo educativo di un giovane, cioè a dire la famiglia, la chiesa,
la scuola. Quali sono questi non luoghi? La notte, la rete internet, gli
ipermercati, i grill delle autostrade, gli aeroporti, i grandi centri
commerciali;
- società dell’afasia.
Incapacità di questa cultura di dire parole Vere, non solo di comunicare
con i giovani, ma di dire parole che sono fedeli a ciò che nominano.
Oggi infatti la parola più che essere fedele a ciò che nomina segue
l'immagine sul piano dell’irrealtà.
LA FAMIGLIA
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Lentamente, la famiglia va riconquistandosi il posto che merita di
primario soggetto sociale. Dal 1994, Anno Internazionale della
Famiglia, va affermandosi sempre di più il principio che la
"famiglia va riconosciuta e accettata nella sua identità e accettata
della sua oggettività sociale".
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Già nella "Dichiarazione universale dei diritti umani dell'Onu" (1948)
si afferma: la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della
società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato
(art. 16). Eppure gli studi sulle scienze sociali mostrano che le
politiche effettive vanno esattamente al contrario:
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Nello sviluppo dei diritti (sociali, civili, politici, economici) di
parla di responsabilità degli individui nelle famiglie, ma non
più di diritti e responsabilità della famiglia come tale.
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Il concetto di famiglia diventa indeterminato e tende a
coincidere con la semplice coabitazione ovvero "famiglia
anagrafica", una sorta di "agglomerato domestico"
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L'Europa vede ancora la famiglia ma la considera una sorta di "residuo
storico" anziché come un'istituzione del futuro; l'Europa tende a
restringere la tutela e la promozione delle relazioni familiari stabili
basate sul matrimonio di un uomo e una donna a favore di una crescente
tutela verso forme di vita che si presentano come problematiche, forme
di "arrangiamenti di vita".
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La Carta di Nizza è all'insegna di un individualismo
istituzionalizzato. La UE non regola il "ruolo sociale" della
famiglia.
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La meteora del sessantotto è passata lasciando il cielo vuoto: le
antiche inibizioni sono state superate ma è rimasta una frattura, un
salto che le generazioni di giovani venuti immediatamente dopo non
hanno colmato, quando non hanno neppure colto. È rimasto un senso di
mancanza, un'eredità vuota, che certo non ha trasmesso nuove regole di
comportamento:
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la famiglia non è più identificata come la matrice di una società
autoritaria, ma spesso non sa offrire altro che una falsa sicurezza
ipercoprente oppure si disfa dei giovani abbandonandoli nella loro
fatica esistenziale;
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un tessuto urbano disgregato favorisce l'isolamento e la solitudine
senza farne un’opportunità di rapporto con se stessi;
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una scuola spesso mediocre; demotivante e in molti casi autoritaria,
fallisce ancora gli obiettivi della formazione e dell'orientamento;
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la società politica è anch’essa separata, come luogo in cui si esercita
un potere burocratico
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Ancora oggi, purtroppo, rimangono sulle spalle della famiglia un
sovraccarico di funzioni sociali senza che la famiglia riceva supporto
e legittimazione. Manca una vera "politica familiare" che la renda
soggetto attivo e non terminale passivo. Se alcuni diritti dei singoli
componenti della famiglia vengono sempre più riconosciuti, quello che
manca e l'affermazione del nucleo familiare come soggetto sociale
autonomo. In definitiva manca il superamento della contrapposizione
tra diritti individuali e diritti familiari.
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La famiglia è ambito privilegiato di educazione alla socialità. Essa è
il luogo delle relazioni. La vita familiare costituisce una esperienza
privilegiata di relazioni. In famiglia non si vive o non si dovrebbe
vivere semplicemente tra gli altri o accanto agli altri. Nella
famiglia si stabiliscono rapporti all'insegna dell'aiuto e del
servizio reciproco, della complementarietà, della donazione gratuita,
della mutualità, della solidarietà, fuori della logica utilitaristica
dello scambio e del profitto.
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Se il rapporto intrafamiliare è vissuto all'insegna della gratuità,
questa si fa capacità di ascolto, di impegno generoso, di
responsabilità.
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La famiglia è luogo di umanizzazione. Il soggettivismo culturale e il
relativismo etico in cui sfocia certa cultura occidentale, espone la
famiglia al rischio di chiusura. Luogo comune esige che si parli di
crisi della famiglia, ma non vorremmo che i lamenti di crisi
possano spegnere le speranze.
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"La famiglia può essere immaginata in vario modo: una ragnatela, un
fiore, una tomba, una prigione, un castello" (psichiatra inglese
Ronald David Laing).
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Questo non accade quando si ha una:
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famiglia divisa e conflittuale
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famiglia assente
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famiglia protesa all'accumulo di beni
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famiglia chiusa
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Non bisogna "demonizzare", ma "storicizzare" le cose che non vanno per
potere trovare soluzioni adeguate. Demonizzare le cose che non vanno
significa imboccare strade decisamente senza uscita; storicizzarle nel
quadro generale del trapasso epocale significa sentirsene tutti
responsabili, anzi corresponsabili.
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"Governare una famiglia è poco meno che governare un regno" (Montaigne,
moralista francese del '500).
GIOVANI
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"Essere giovani è un effetto del caso e dilegua come nebbia; rimanere
giovani è molto di più, un’arte di pochi” (Goethe). È quella
giovinezza non anagrafica e non biologica che trasfigura la persona
rendendola sempre feconda, creativa, capace di gustare sempre la
realtà.
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La condizione giovanile è una costruzione sociale e culturale, perché
l'età giovanile si colloca all'interno di quei margini temporali,
mobili, tra la dipendenza infantile e l'autonomia dell'età adulta. La
condizione giovanile è quel periodo di puro cambiamento e di
inquietudine in cui si realizzano le promesse dell'adolescenza, tra
l'immaturità sessuale e la maturità, tra la formazione e il pieno
dispiego delle facoltà mentali, tra la mancanza e l'acquisizione di
autorità e potere. In questo senso nessun limite fisiologico è
sufficiente a identificare una fase della vita riconducibile piuttosto
alla determinazione culturale delle società umane, al modo in cui esse
cercano di identificare, di dare ordine e senso a qualcosa che appare
tipicamente transitorio e quindi disordinato.
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Basta osservare come in questo dopoguerra nella società italiana l'età
giovanile sia andata progressivamente spostando i suoi confini verso
l’alto sino ad arrivare a fissare i propri limiti intorno ai 29 anni;
basti pensare ai contratti di formazione e lavoro che arrivano sino a
trentacinque anni.
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Proprio in quanto costituzione culturale la condizione giovanile è un
luogo simbolico nel quale si addensano le attese, le delusioni, le
potenzialità e le debolezze di cui è fatto l'immaginario collettivo.
Ora l'immaginario collettivo intorno al ruolo sociale dei giovani
assume in genere due polarità emotIve, l'una positiva l'altra
negativa:
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La polarità negativa è caratterizzata dalla concezione dei
giovani come potenziali devianti o destabilizzatori dell'ordine sociale,
della norme e dei valori che lo caratterizzano.
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Quella positiva, invece, tende a considerare i giovani come il
futuro, ovvero come i portatori delle nuove energie vitali che
consentiranno alla società di evolversi e progredire.
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Oggi, nella vita sociale italiana, parlando dei giovani, si pone quasi
esclusivamente l'accento sul disagio giovanile e si evita
accuratamente qualsiasi discorso sulle qualità dei giovani,
specialmente in riferimento al loro potenziale creativo e innovativo
Quindi, la costruzione sociale e culturale nella quale si innesta la
condizione giovanile italiana è negativa.
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Non deve stupire se l'espressione .disagio giovanile sia
diventata in questi ultimi anni una sorta di etichetta che si tende ad
attribuire in modo generico all'intera condizione giovanile, quasi che
la maggioranza dei giovani fosse vittima, o comunque fortemente a
rischio, di una qualche forma di disagio.
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Non ci sono giovani infelici, ma soltanto giovani incompiuti.
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"La morte dei giovani è un naufragio quella dei vecchi un approdare al
porto" (Plutrarco, in un frammento).
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Questa visione negativa serve forse a nascondere il senso di colpa che
il mondo adulto vive nei confronti del mondo giovanile a causa del suo
inadeguato impegno educativo e soprattutto del suo scarso investimento
per il futuro?
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C'è stata, in questi ultimi anni, nella vita sociale una scarsa
presenza dell'orizzonte del futuro dei giovani nelle scelte
individuali e collettive. Questo ha comportato, da un Iato, una sorta
di abdicazione da parte degli adulti nei confronti della loro
responsabilità educativa verso le nuove generazioni e, dall'altro
Iato, l'affermazione nella vita sociale italiana di un modo di vita
finalizzato a consumare il presente che ha investito assai poco
sul futuro e, quindi sui giovani.
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Oltre a questo occorre ricordare che i giovani non sono uno strato
sociale separato dagli adulti; abitano, vivono lo stesso mondo abitato
dagli adulti. Il mondo dei giovani è in prima istanza il mondo nel
quale noi adulti li ospitiamo. Sarebbe comodo tirarsi fuori dalle
responsabilità accusando i giovani di tutte le colpe che derivano
dalla cultura sociale e dai modelli di vita e di partecipazione
che noi adulti abbiamo costruito e teniamo in vita. C’è allora una
complessità sociale che ci interpella; ci sono processi di formazione
della persona umana che interpellano più direttamente la nostra
responsabilità, la responsabilità degli educatori.
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"l giovani non sono sospettosi perché di male non ne hanno ancora
visto molto; sono fiduciosi perché non hanno avuto ancora il tempo di
essere ingannati." (Aristotele, Retorica).
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"Tutta l'educazione si riduce a questi due insegnamenti: imparare a
sopportare l'ingiustizia e imparare a soffrir la noia" (Abate Galliani,
Lettere).
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"I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle idee altrui" (Ennio
Flaiano, Diario notturno).
Situazione giovanile
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I giovani dai 15 ai 29 anni che lavorano rappresentano circa il 25%
degli occupati
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Il 40% dei giovani è senza titolo o con la sola licenza media; il 20%
sono qualificati; il 40% sono diplomati o laureati.
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I giovani dai 15 ai 29 anni rappresentano il 67% delle persone in
cerca di occupazione; al sud il 64% delle ragazze non ha un lavoro.
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Il 24% dei giovani lavora senza regolare libretto di lavoro, il 30% di
regolare busta paga; il 65% trova lavoro grazie ai genitori o agli
amici di famiglia (in Europa è il 37%).
LAVORO
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Ogni riflessione sul lavoro presente e futura e ogni politica sul
lavoro dovrà ispirarsi ad alcuni principi irrinunciabili.
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La dignità dell'essere umano (ogni uomo è persona che merita di
essere accolta, rispettata, promossa, valorizzata; ogni uomo va
riconosciuto nella sua dignità: è una creatura di Dio)
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La dignità di ogni lavoro (allargata la base di solidarietà verso le
persone più deboli; ogni lavoro va guardato con amore perché è
partecipazione all'opera creatrice di Dio)
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Evitare un'eccessiva preoccupazione per il lavoro e per l'esistenza
(il "lavorismo" o l'ossessione del lavoro che impoverisce l'uomo
fino a renderlo "cosa tra le cose", soggetto a "idolatrare il
lavoro" dimentico degli altri)
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Promuovere una "spiritualità del lavoro" che si esprima in uno stile
dj sobrietà e di essenzialità di vita.
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"La democrazia divide gli uomini in lavoratori e fannulloni. N'on è
attrezzata per quelli che non hanno tempo per lavorare” (Karl Kraus,
Detti e contraddetti).
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“Il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e
il bisogno"
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"Un uomo che vuoI lavorare e che non trova lavoro è forse lo spettacolo
più triste che l'ineguaglianza della fortuna possa offrire sulla terra"
(Thomas Carlyle, Cartismo).
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"Labor omnia vincit et duris urgens in rebus gestas" - Tutto vince il
lavoro e fra mille disagi l'urgente miseria" (Virgilio, Georgiche).