All’esortazione spirituale
di p. Raniero Cantalamessa è seguita la testimonianza di cinque
sacerdoti che nel ministero esercitato in modo particolare da ciascuno
di essi rappresentano uno spaccato del mondo sacerdotale.
Il
primo a rendere testimonianza è don Fortunato Di Noto, fondatore della
Associazione “Meter” per la tutela dell’infanzia, che conta 15 sportelli
in Italia e otre 300 operatori.
“Saluti da tutti i bambini del mondo e da tutti i sacerdoti del mondo”.
A queste parole del Sacerdote è seguito un video di presentazione
dell’associazione da lui fondata e che ora, dopo un periodo iniziale,
irto di difficoltà, collabora con varie istituzioni dello Stato per
combattere gli abusi sull’infanzia. Alla fine del video, don Fortunato,
ha sottolineato: “Amare i bambini non è un’ aggiunta al mio ministero
sacerdotale e amare l’infanzia significa amare il Signore. Attraverso il
mio ministero voglio solo dare voce ai bambini violati” ha continuato Di
Noto, chiedendo all’assemblea di fare un minuto di silenzio e di
preghiera per amore di tutti questi piccoli.
La
seconda testimonianza è stata resa da p. Felice Sciannameo, M.C.C.J.,
missionario a Kampala (Uganda). Il Religioso fa parte del RnS dal 1974.
Dopo la sua ordinazione sacerdotale, nel 1978, è partito in missione in
Uganda dove ha svolto il suo apostolato muovendosi dal nord al sud del
Paese, insegnando per lungo tempo in vari seminari. Lavora oggi a vari
progetti di sviluppo ed è fondatore e ideatore dell’associazione
“Famiglia d’Africa”, nata nel 2001.
“Cosa posso fare per loro?”, questa la prima domanda che P.Felice si è
posto vedendo i ragazzi di strada a Kampala sniffare droga. Con alcuni
seminaristi ha iniziato ad affittare delle case accogliendo, all’inizio,
35 di questi bambini e ragazzi. Presto queste case sono diventate circa
1000. Oggi – ha raccontato il sacerdote –, con l’aiuto della
Provvidenza, sono state acquistate molte altre case e coordina nove
centri in collaborazione con altrettante congregazioni religiose. “Io
voglio essere solo la ruota di scorta di Dio e cioè essere presente
quando ce n’è bisogno ed essere messo da parte quando non c’è più
bisogno”, ha concluso ricordando che dal 2006 si dedica solo
esclusivamente all’opera di assistenza a bambini e ragazzi orfani.
Il
terzo intervento è di Dom Pietro Maria Bacillari, O.Cist. La sua
conversione inizia nel cammino neocatecumenale. Nel 1983 viene ordinato
sacerdote e dopo aver svolto il suo ministero in varie parrocchie, nel
2001, sceglie la vita contemplativa decidendo di entrare nel monastero
di Chiaravalle di Fiastra (Macerata). “Sentivo il bisogno di stare con
il Signore ma gli impegni, le troppe cose da fare me lo impedivano”,
così il Contemplativo racconta la sua decisione di entrare in monastero
all’età di 57 anni non senza qualche perplessità da parte di coloro che
gli erano più vicini. “Vai da Gesù perché solo Dio ha parole di vita
eterna”. Questo sentiva nel suo cuore Dom Pietro scegliendo la vita
contemplativa, collegando questa scelta anche al famoso episodio
evangelico del giovane ricco e all’invito di Gesù a seguirlo.
“Dopo 9 anni di vita monastica ho imparato che la felicità consiste
nell’amare mettendosi a servizio del Signore e dei fratelli nella vita
di comunità scandita da preghiera e lavoro”, ha concluso il
Contemplativo presentando i vari momenti della vita comunitaria in
monastero.
Il
quarto sacerdote a dare testimonianza è p. Mario Marafioti, S.J., che
dedica il suo servizio a tutti quelli che si sentono ultimi. Ed è
proprio attraverso la testimonianza di una sorella sordomuta che ha
abbracciato la spiritualità del Rinnovamento, a cui è seguita la
costituzione di una prima cellula che avrebbe dato vita, nel 1980, alla
fondazione della comunità “Emmanuel”, che opera nel disagio giovanile e
che attualmente accoglie circa 500 persone.
La Comunità Emmanuel è organizzata in sei settori di intervento:
famiglia, disabilità, dipendenze, cooperazione e impresa sociale,
migrazioni e Sud del mondo, diakonia
“Dio cerca gli ultimi per renderli primi”, ha detto il sacerdote
lasciando immediatamente spazio alla testimonianza di due persone che
possono essere bene inserite tra questi.
Francesco, ex tossicodipendente, costretto a dormire nei vagoni della
stazione centrale di Milano, racconta di come la sua vita fosse una “non
vita” fino all’incontro con la comunità Emmanuel dove è stato
accompagnato nella ricerca della verità, nella conoscenza di se stesso e
della relazione con Dio.
Barbara ha raccontato come la sua vita sia stata segnata all’età di un
anno e mezzo da una grave ustione ai piedi: “Ogni anno per dieci anni
passavo sei mesi in ospedale e gli altri sei a casa in attesa della
cicatrizzazione delle ferite”. All’età di 17 anni l’incontro con un
ragazzo tossicodipendente la porta nell’inferno della droga e del sesso
comprato e venduto per una dose. “Un giorno – continua Barbara – entra
in una chiesa e ne esce con la voglia di gridare tutta la sua
disperazione”.
Dopo un viaggio a Medjugorie miracolosamente guarisce dalle sue piaghe e
decide di consacrarsi a Dio totalmente.
L’ultima
testimonianza dei sacerdoti è di don Giosy Cento, sacerdote e cantautore
cristiano. “Sono qui oggi per imparare la vostra canzone, quella dello
Spirito. E’ necessario che nell’uomo si coniughi il frammento divino con
quello umano” dice il sacerdote.
Don Giosy racconta poi tre episodi della sua vita che lo hanno segnato
profondamente: il primo riguarda le parole che la sua mamma gli disse
agli esordi del suo ministero sacerdotale ricordandogli di essere sempre
un “prete alla mano”, di come siano gli umili che fanno la storia e di
amare sempre i poveri. Il secondo episodio riguarda la sua scoperta
della dimensione di paternità sacerdotale grazie all’incontro, fatto
durante l’esercizio del suo ministero, con un ragazzo che gli affida la
vita. Al sentire quanto gli diceva sente forte un impulso di rabbia, “ma
poi mi sono chiesto: se fosse tuo figlio che faresti?”, mentre nel suo
cuore sentiva che Dio gli chiedeva di accoglierlo come un figlio
spirituale.
Il terzo episodio, avvenuto durante uno dei suoi concerti, riguarda la
conversione di un ragazzo che alla fine serata gli chiese di
confessarsi. “Io ero stanco e volevo andare a casa ma il ragazzo
insistette con forte determinazione perché era stato colpito dalla sua
musica e voleva parlare con lui”. Così, quella notte, rimase ad
ascoltare il ragazzo fino alla mattina. A proposito di questo episodio
don Giosy invita i sacerdoti presenti a non dire mai “sono stanco”.
Con il suo canto “Prendimi per mano Dio mio”, che dedica a tutti i
giovani, si chiude il suo intervento e il momento delle testimonianze
dei sacerdoti.
Francesco Storino