Giornata dedicata
all’esperienza della misericordia di Dio che consola, guarisce e libera.
Al teologo mons. Bruno Forte il compito di tenere la Lectio divina
sul tema: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto
ed è stato ritrovato”.
L’Arcivescovo
di Chieti-Vasto inizia la Lectio divina presentando all’assemblea
«l’icona dell’Epistemius, cioè l’immagine di Giovanni che
appoggia il capo sul cuore di Gesù», perché – come dice Origene – può
comprendere le parole di Gesù «solo chi poggia il capo sul suo cuore: è
l’amore infatti che svela il Mistero».
E in questa ottica di
amore introduce la parabola del figliol prodigo, in cui «il vero
protagonista è il padre», gli altri due personaggi, i figli, sono coloro
che a lui convergono. Su questa conversione mons. Forte pone l’accento
perché «non è un’esperienza personale. È un ritorno, una relazione
d’amore che era stata infranta e che viene ristabilita».
Passa quindi ad analizzare
le tre figure della storia.
La prima è quella del
padre. «Chi è questo padre e madre dell’amore? Gesù ha voluto confidarci
qual è il volto del Padre, spiega ancora mons. Forte, indicandone cinque
caratteristiche:
1. L’umiltà. Solo
lui poteva abbassarsi così tanto, circoscrivere la sua onnipotenza «di
fronte al mistero della persona da Lui creata» e amata.
2. La speranza di Dio.
«Il cuore di Dio è pieno di speranza in attesa del ritorno del Figlio».
Negare questa speranza vuol dire negare la fiducia che Lui ha nella sua
creatura.
3. L’amore materno.
Il Padre non esita a correre incontro al figlio atteso, esprimendo
commozione, ma anche coraggio perché non ha paura di perdere la faccia.
4. La gioia. Per il
Padre il primo gesto dopo l’accoglienza al figlio è la festa, una grande
festa perché quel figlio è tornato in vita, ed è stato
ritrovato.
5. La sofferenza.
«Non c’è gioia se prima non c’è
stata sofferenza, questa è la legge dell’amore» a questa legge nemmeno
Dio si è voluto sottrarre.
A questo punto, mons.
Forte invita l’assemblea a chiedersi se questo sia il volto del
Dio in cui crede: un Padre-Madre di misericordia, speranzoso,
coraggioso, capace di gioire e soffrire.
Prosegue
poi la Lectio analizzando le figure dei due figli.
La figura del figlio più
giovane può rappresentare proprio noi quando ci allontaniamo da Dio,
prendiamo quel che ci spetta e finiamo per ridurci a mangiare il cibo
dei porci. La sua è la storia di un ritorno. Una storia comune alla
nostra conversione che il vescovo definisce in cinque tappe:
1. Percepire l’esilio
esteriore, la lontananza da Dio. Prima tappa della conversione.
2. Ricordo della patria,
cioè della casa del Padre, dove c’è pane in abbondanza.
3. Percezione
dell’esilio interiore. Riconoscere che la radice profonda del male è
la separazione da Dio.
4. Il no al passato e
il sì al futuro di Dio per noi.
5. Andare
effettivamente dal Padre. È l’ora del perdono che viviamo nella
riconciliazione.
C’è infine la figura del
figlio maggiore, che è sempre restato accanto al Padre, eppure non è
sempre stato vicino al suo cuore. «Quel che conta veramente – dice
avviandosi alla conclusione mons. Forte – è la vicinanza del cuore, è
l’essere interiormente innamorati di Dio». A questo figlio, ugualmente
amato, il Padre spiega le ragioni della logica dell’amore: «Questo tuo
fratello era morto ed è tornato in vita. Era perduto ed è stato
ritrovato».