RASSEGNA STAMPA Articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire il 06.05.2007 «La
carità deve essere esercitata quale funzione propria della comunità Non
si tratta di filantropia» «Io sono
venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza». Cari fratelli
e sorelle, questa è la più grande promessa fatta all'uomo, la promessa
della vita. Ma che cosa significa avere la vita in abbondanza? L'uomo è
istintivamente consapevole che la sua vita non si riduce a quella
fisica. L'uomo vive prima di tutto di verità e di luce che Dio stesso
gli dona: «manda la tua verità e la tua luce: siano esse a guidarmi».
Cari fratelli e sorelle, in questa sessione pomeridiana voi avete voluto
lodare e ringraziare il Signore per il dono del matrimonio e della
famiglia. C'è un legame profondo fra famiglia e vita. Il servo di Dio
Giovanni Paolo II descrisse questo legame nel modo seguente: la famiglia
è veramente «il santuario della vita … il luogo in cui la vita, dono di
Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta» (Lett. Enc.Centesimus
Annus 39; AAS 83 (1991), 842). La Chiesa non può non prendersi cura
della famiglia, poiché essa sa quale è la misura della sua preziosità:
la preziosità stessa della vita. Nessuno potrà impedire alla Chiesa di
dire ad alta voce il suo «sì» alla famiglia, poiché nessuno potrà
impedire alla Chiesa di amare l'uomo, di desiderare che egli abbia la
vita e l'abbia in abbondanza. Cari fratelli e sorelle, «chi ero io per
porre impedimento a Dio?» dice con umile e forte semplicità Pietro. Se
Dio ha inviato il suo Unigenito perché gli uomini abbiano la vita e
l'abbiano in abbondanza, chi può porre impedimento al compimento di
questo disegno divino? Noi oggi celebriamo la gioia di non aver posto
impedimento al dono di Dio: la gioia di aver ricevuto - anche se pagani
- lo Spirito Santo «che è Signore e dà la vita». |