La
preghiera comunitaria carismatica non come una “questione ministeriale”
ma vista come evento da rileggere nella prospettiva
dell’evangelizzazione: partendo da questa considerazione, Sebastiano
Fascetta ha posto un importante interrogativo, nel corso del suo
intervento, sulla percezione della preghiera all’interno del
Rinnovamento. «Siamo consapevoli che è un vero strumento di
evangelizzazione? – ha chiesto Fascetta agli animatori presenti in sala.
Crediamo veramente di ricevere, attraverso di essa, una “carica
profetica” per testimoniare la gioia dell’incontro con Cristo risorto?».
La tendenza a fare della vita dell’uomo un continuo contrasto dualista
tra vita e fede, tra realtà umana e spirituale, comporta una difficoltà
a comprendere il ruolo della preghiera nella vita di tutti i giorni: il
Tabor non è il luogo in cui godere della gloria dell’unzione dello
Spirito ma il punto da cui scendere per incontrare l’uomo. La luce della
trasfigurazione deve riflettere sul volto di ciascuno e nella vita di
tutti i giorni: la preghiera, quindi, è mezzo di conversione, è
relazione vitale da cui discendono le scelte esistenziali, è il luogo in
cui si fa esperienza di Dio, esperienza che deve diventare comunicazione
di salvezza per gli altri. Lo scopo dell’effusione dello Spirito Santo è
la santità di vita: se, come affermato da Giovanni Paolo II, «non c’è
santità senza preghiera», la preghiera è a tutti gli effetti strumento
che umanizza, educazione alla vita umana.
Fascetta elenca, quindi, alcune implicazioni
spirituali, comunitarie e personali che derivano dalla preghiera
comunitaria carismatica, secondo la prospettiva dell’evangelizzazione.
I carismi: lo Spirito li elargisce e vanno accolti
con gratitudine e senso di responsabilità. Essi sono dati per
l’evangelizzazione, che è a servizio della Verità.
L’accoglienza: non c’è evangelizzazione se non con
un’accoglienza “senza frontiere” dell’umano di ciascuno. «Gesù vede il
potenziale di bene di ciascuno – ha sottolineato Fascetta. Siamo anche
noi capaci di fare questo? Prima di fissare il cuore verso Cristo,
abbiamo
occhi per vedere le persone in mezzo a noi? La “paura dell’altro” è
sempre più radicata».
La libertà: la lode, la gestualità nella preghiera
carismatica, la preghiera guidata da carismi di animazione non sono
frutto di una “regia” ma della libertà nella reciproca fiducia tra
fratelli. «Sappiamo annunciare questa libertà? Se c’è libertà, essa non
può essere annunciata da un popolo triste. L’arte della preghiera è la
più difficile ma è necessaria per essere rigenerati: dobbiamo favorire
un clima di libertà interiore per testimoniare la forza profetica della
preghiera di lode».
La compassione: se la libertà è lode, la
compassione è l’intercessione, è il fare nostra la sofferenza degli
altri, è fare noi “un passo” per avvicinare Dio e l’altro. «Non dobbiamo
“chiudere gli occhi” dinanzi all’altro e fare questo passo solo
umanamente, ma anche nello Spirito».
La mitezza: dinanzi allo scatenarsi della violenza nella quotidianità,
nelle città, nel linguaggio, nelle relazioni, dinanzi alla dignità
dell’uomo, non si deve rispondere con violenza ma con mitezza. «Il mite
è colui che combatte contro l’ingiustizia. Mite è colui che ha una
parola ferma sul male e sul peccato ma non ne fa giudizio, non fa
coincidere il peccato con il peccatore, perché l’uomo è più grande del
peccato e Dio lo salva».
Al termine, la condivisione degli animatori ha
fatto da risonanza a quanto emerso nel corso della relazione.
Elsa De Simone