Dopo aver diviso
l'opinione pubblica statunitense, il film di Mel Gibson rischia ora di
sortire lo stesso effetto anche qui in Italia.
Nel frattempo, e prima
che giunga nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola continua a
essere sottoposta a ristrette cerchie di invitati. Così è stato nei
giorni scorsi a Roma, in una serata alla quale ha partecipato un
ristretto gruppo di personalità del mondo politico, sociale,
cinematografico, ecclesiale.
Tra questi il sindaco
Walter Veltroni, il direttore dell'Ansa Pierluigi Magnaschi,
il regista Ettore Scola, il costumista Piero Tosi, il
fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi e il
Coordinatore Nazionale del nostro Movimento, Salvatore Martinez,
al quale abbiamo chiesto una opinione al riguardo.
Un
film che toglie il fiato; 126 minuti di drammatica meditazione sulle
strazianti sofferenze patite dal Figlio di Dio; una cruda, non crudele
Via Crucis per immagini in cui violenza e ingiurie non vengono certo
minimizzate.
Quando le luci in sala si riaccendono non hai tempo per pensare se
furono più i romani o i giudei a uccidere Gesù; l’immagine dell’“Uomo
dei dolori che ben conosce il patire” (cf Is 53, 3) si è così ben
stampigliata nella tua coscienza di credente che sei solo con te stesso,
faccia a faccia con una nuova, travolgente richiesta di corrispondere a
così tanto, disarmato amore.
Ecco che le parole di Pietro gridate alla folla di Gerusalemme in difesa
del Messia, ti risuonano dentro forti e dolorose: “Voi lo avete
inchiodato sulla croce” (cf At 2, 23). Cioè tutti, io per primo,
l’umanità intera, quanti “credono di credere o di non credere”,
tutti allo stesso modo colpevoli di aver rifiutato e di continuare a
rigettare il Suo amore appassionato e redentivo.
Non voglio soffermarmi sulla sceneggiatura, sulla fotografia, sulla
scenografia di grandissimo impatto e valore artistico per non
condizionare la vostra personale valutazione del film.
Due
“coprotagonisti”, però, desidero segnalarvi, due figure che accompagnano
la passione di Cristo e la descrivono eloquentemente con il loro sguardo
penetrante e i loro espressivi silenzi: Maria, la Madre di Gesù, e il
diavolo. Due presenze, l’una giustapposta e l’altra contrapposta alla
persona di Gesù; due idee, di bene e di male, che sottolineano fino in
fondo il “combattimento spirituale” che dalla prima all’ultima scena è
la chiave interpretativa del film.
“Guarderanno a colui che hanno trafitto”(Zc 12, 10b): mai, prima
della visione del film di Mel Gibson, le parole del profeta mi erano
sembrate così familiari. In due ore “moriva”, per sempre, dentro di me
quell’immagine romantica, idealizzata e irreale del Cristo in croce che
tanta iconografia ci ha tramandato e alla cui vista difficilmente si
avverte il disagio e il dolore per i propri peccati.
Raccomando, laddove possibile, di vedere il film con altri fratelli e
sorelle, così da vivere una sorta di “esperienza comunitaria”, quasi
partecipare ad una sacra rappresentazione o a una serata di esercizi
spirituali in preparazione alla Pasqua.
Certamente dopo la visione di Passion la fede sopita si rianima,
si scatenano domande e desideri contrastanti che spingono a “rileggere”
i Vangeli: Cristo ritorna attuale e con Lui anche la croce che da più
parti si vuole eliminare dalla storia. Ci si affeziona, così, di più al
Crocifisso; la croce resta attaccata ancora più fortemente alle pareti
dei nostri edifici, alle pareti dei nostri cuori, speriamo anche della
nostra Europa.
Un grande regalo, questo film, da difendere e da partecipare.
Salvatore Martinez
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