Meditazione in preparazione della Pasqua
L'intervento di
Salvatore Martinez
offerto nel corso del ritiro presso la Sede Nazionale RnS
PASQUA 2007
La meditazione in preparazione della Pasqua, offerta dal Presidente nazionale del RnS, si articola in “quattro quadri” successivi. Il primo e il quarto fanno da cornice al testo centrale, che in due sezioni ripropone una rielaborazione del Carme sul buon ladrone del padre della Chiesa Giacomo di Batna:
Lo svelamento delle due nature di Gesù
S. Paolo, nella sua lettera ai Filippesi, ci consegna una professione di fede che condensa con rara bellezza e incisività il “mistero del Cristo”.
«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2, 5-11).
In queste parole sono racchiuse le due nature di Gesù. La Pasqua “svela” le due nature di Gesù: umana e divina.
Con la Passione Gesù-uomo raggiunge il culmine delle sofferenze patibili e subisce la depravazione violenta del genere umano; al contempo, con la sua morte gloriosa, Gesù-Dio manifesta l’onnipotenza divina, il destino eterno di gioia e amore che nessuna sofferenza, nemmeno la morte, potrà impedire a chi crede nel Cristo.
Pertanto, sono questi i giorni in cui la confessione della nostra fede non può subire riduzioni di senso. Tre le direzioni già segnate dall’evento pasquale che ci interpellano:
Come mai nella storia era accaduto, come mai più dopo l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù potrà accadere, con la Pasqua, nell’Uomo-Dio i contrasti sono stati riconciliati: umiltà e maestà; povertà e gloria; debolezza e forza; ingiustizia e perdono; abbandono e amore, tristezza e gioia, naturale e soprannaturale.
«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Se ne comprende il valore, la portata, la sfida, il prezzo, il premio solo se entriamo nella verità della Pasqua: Gesù nasce per morire e muore per risorgere.
Ancora S. Paolo dirà: «L’uomo Gesù Cristo, l’unico e identico mediatore di Dio e degli uomini» (1Tm 2,5). Ecco le due nature; ecco ciò che fa di Gesù il Figlio dell’Uomo e il Figlio di Dio. Nella Pasqua tutto il senso è dato: Gesù doveva soffrire, ma non poteva essere vinto dal dolore umano; doveva morire, ma non poteva rimanere morto; doveva stare in mezzo ai suoi, ma non poteva rimanere per sempre con loro. Umanità e divinità; finitezza ed eternità: che sfida per la nostra intelligenza e che benedizione per chi risolve questa tensione “temporale” nella fede: con la Pasqua Cristo è nostro contemporaneo, sempre, per sempre!
Uno speciale conforto ci viene da uno scritto del grande padre della Chiesa latina, Agostino: “Questo nostro tempo di miseria e di lacrime viene simboleggiato dai quaranta giorni prima della Pasqua; il tempo che seguirà, di letizia, di pace, di felicità, di vita eterna, di regno senza fine, che ancora non è, è simboleggiato invece da questi cinquanta giorni in cui noi eleviamo lodi a Dio. Ci vengono cioè presentati due tempi: uno prima della risurrezione del Signore, l’altro dopo la risurrezione del Signore; uno è il tempo in cui siamo, l’altro è il tempo in cui speriamo di essere un giorno. La passione del Signore simboleggia il nostro tempo, questo in cui piangiamo. I flagelli, le catene, gli obbrobri, gli sputi, la corona di spine, il vino misto al fiele, l’aceto sulla spugna; gli insulti, gli obbrobri, e infine la stessa croce, le sacre membra pendenti dal legno, cosa ci simboleggiano se non il tempo in cui viviamo, tempo di tristezza, tempo di morte, tempo di tentazione! Perciò un tempo fetido. Ma se ne usiamo bene, un tempo fedele. Che cosa è più maleodorante di un campo coperto di letame? Era bello il campo prima che il carro di letame lo ricoprisse, ma solo quel letame potrà renderlo fertile (in “Discorsi”, 254, 4-5).
Gesù, «il più bello tra i i figli dell’uomo” (Sal 45, 3), si è fatto “rifiuto”, per «assumere su di sè tutta la spazzatura» (i peccati del mondo) (cf Is 53, 2-4).
La croce e un silenzio mai prima udito
«Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra» (Mc 15, 22-28).
Il Messia è in croce. La meraviglia è svanita. L’uomo dei miracoli, il rabbì dalla parola irrefrenabile, che non temeva nessuno per la sua saggezza audace, è arreso, si è arreso all’ impotenza, abbandonato. Il mondo è scosso, entra in un silenzio mai prima udito. Ora che tace la Parola, grida il silenzio. È il silenzio di tutti i perseguitati, i condannati, i carcerati, i sofferenti, i deboli che in Gesù grida al Padre.
Un grido che squarcia il cuore del Padre. Ma neanche Lui, che per due volte aveva fatto udire la voce: «Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!» (cf Lc 9, 22 [Battesimo di Gesù]; Lc 9, 35 [la Trasfigurazione]), sì, neanche Lui, il Padre, parla. Il Padre tace. Tace il Figlio, tace il Padre.
Un imbarazzante silenzio, al quale solo Maria era stata preparata nel Tempio di Gerusalemme, quando questo martirio le era stato profetizzato dal vecchio Simeone: «Una spada ti trafiggerà l’anima» (Lc 2, 34-35).
Un imbarazzante, interminabile silenzio, al quale gli apostoli non erano preparati; tanto ingombrante da metterli in fuga, giudicati più di qualunque altra parola pronunciata dal loro Maestro, quella Parola che mille e mille volte li aveva mandati in crisi, eppure mai li aveva fatti fuggire lontano da Lui. Ora, gli apostoli, si disperdono dinanzi al silenzio, insopportabile, di Dio. Tommaso era fuggito, Pietro lo aveva rinnegato; perfino Giovanni, quel discepolo che il Signore aveva tanto amato, se ne sta separato da Lui. Non era fuggito, ma sta in disparte, intimidito per ciò che va accadendo al Figlio di Dio che pende in croce.
Anche gli angeli cessano nella loro lode a Dio. Le schiere celesti, tutti gli ordini angelici sono lì, costretti all’impotenza, assistono il loro Signore impossessati da uno stupore mai prima provato: il Dio eterno sta per morire nella sua carne umana. Non c’è spazio per la gioia, non può esserci spazio per il suono degli angeli. Sono mute le invisibili schiere celesti, non sanno piangere, non possono piangere: solo i gemiti delle donne si odono in queste ore, il solo contrappunto alle bestemmie dei soldati romani. Tra gli spettatori domina l’angoscia e il dubbio, lo scherno e l’insulto.
Il Re dei re è solo, maledettamente abbandonato. Chi potrà mai professare la propria fede in un moribondo che fallisce? Anche Maria si rifiuta: quell’uomo che sta per morire è il Figlio eterno di Dio! E ciò che è eterno non può morire! Chi potrà mai professare la propria fede in un moribondo che fallisce? Né gli uomini, né gli angeli.
Per questo la solitudine si fa ancora più tremenda e angosciante: Gesù lo sa. È questo il calice che deve bere, il cui vino è amaro, amarissimo, imbevibile.
Non è neanche il tempo della preghiera. Nessuna voce rivolge a Gesù una preghiera, lui che per tre anni ininterrotti era stato pregato dalla folla, giorno e notte, di fare qualcosa per i deboli, per i sofferenti, per gli ultimi. Lui che tutte le preghiere aveva accolto e tradotto in benedizioni, ora non è pregato da nessuno. Ma come pregare un uomo impotente, che non riesce a far nulla neanche per se stesso?
Non aveva resuscitato l’amico Lazzaro (cf Gv 11, 1-44); e il figlio della vedova di Naim; (cf Lc 7, 11-17); e ancora la figlia del capo della sinagoga Giairo (cf Lc 8, 40-42.49-54)? Perché muore se era stato capace di dominare la morte? Questo il pensiero che si agita nel cuore e nella mente di chi lo ha conosciuto e assiste alla Sua agonia. Ma chi oserà dirlo, se non un soldato romano e gli ingrati astanti, in segno di offesa e di sfida?
Anche Maria non è in grado di professare in lui la sua fede; osserva il figlio, oppressa dall’angoscia. Lei che lo aveva visto venire alla luce, partorito in un mistero di luce, ora lo vede spegnersi, nel medesimo mistero, tinto di tenebre. Maria è sconvolta nel suo animo di madre, non è più in grado di avvicinarsi a Gesù, perché ora il Figlio è innalzato da terra. Solo dirige il suo sguardo verso di Lui, inattiva.
Una preghiera inattesa schiude il Paradiso
Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l'altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradise”» (Lc 23, 35-43).
Non è dal basso che improvvisamente si ode una parola di fede, di stima, una richiesta d’aiuto indirizzata a Gesù crocifisso. A prendere la parola è un altro moribondo. Uno dei due ladroni che gli sta a fianco, pure lui elevato da terra e partecipe del medesimo destino, può vedere il Cristo faccia a faccia. Ancora una volta, per l’ultima volta, il volto di Dio non si contempla dal basso verso l’alto, separato dagli uomini, ma faccia a faccia. Dio non nasconde il Suo volto sfigurato, sputato, schiaffeggiato, sanguinante. Il volto dell’Emmanuele, il Dio-con-noi che lungo le strade della Galilea, della Giudea, di Gerusalemme le folle avevano ammirato, rimane ancora a “vista d’uomo”, a misura di un uomo crocifisso in cui è simboleggiata la sofferenza umana che attende di essere assunta da Cristo.
Il “buon” ladrone rompe il silenzio, ribalta la storia, la riscrive. Al suo fianco c’è Dio, non un terzo uomo corrotto dal peccato e meritevole di un destino di morte. È l’estremo, incredibile, irripetibile dialogo del Dio fatto uomo, con l’uomo che chiede di diventare Dio, di stare con Dio, di rimanere per sempre con Lui nel Regno dei Cieli.
Questo ladrone diviene la bocca del mondo, di un mondo inferiore che ora sta sospeso tra la terra e il cielo. Di un mondo che non si arrende quando Dio sembra morire. È questo ladrone che combatte e vince l’errore in cui l’umanità stava precipitando, considerando tutto ormai finito. Tutto “sta per compiersi”, non per finire.
Nessun’altra voce si unì in aiuto di Gesù se non quella del “buon” ladrone. Gesù non aveva bisogno di aiuto, ma nella professione di fede di questo ladrone «Tu muori ingiustamente, Signore, ma ricordati di me quando sarai nel Tuo Regno» (cf Lc 23, 39-43) è come se Gesù scendesse dalla croce e tornasse ad esaudire le preghiere degli uomini con i quali aveva vissuto sulla terra. Con energia e fermezza non badò allo scandalo che soffriva: il ladrone sceglie di avere fede come nessun altro in quell’ora tremenda. Non fece appena un cenno, né sussurrò solo a bassa voce. Non si lasciò impressionare vedendo Gesù in croce, spoglio e nudo; non si meravigliò per le sue tante ferite. Il suo cuore non si lasciò intimorire, pur vedendo la schiera dei carnefici. Il clamore del popolo inferocito non gli fece impressione, non si lasciò distogliere dal fanatismo degli infedeli, non ascoltò le grida di vituperio dei bestemmiatori e non lo turbarono le parole di obbrobrio dei calunniatori. Di tutto ciò non ebbe cura, ma si dispose con franchezza a professare la sua fede, dicendo ad alta voce: «Signore, ricordati di me quando giungerai nel tuo regno».
Senza lasciarsi prendere dallo scandalo, si rivolse al Crocifisso. Quantunque ciascuno che passasse a fianco a quello squallido spettacolo scuotesse il capo e se ne andasse oltre, insultando Gesù come un maledetto. Quantunque i rabbini godessero della sua morte e i sacerdoti diffondessero menzogne per giustificarne la fine. Nonostante tutto ciò il ladrone elevò il suo grido e fece risuonare alta la sua professione di fede.
Questo è il primo, grande annuncio della Pasqua, il primo anticipo di luce della Pasqua che accende le tenebre del monte Golgota. Questa professione di fede, che parte dal cuore di un uomo, dice che ogni cuore umano è fatto per la Pasqua, non per la morte; per la gloria, non per la sconfitta umana.
Gesù ora parla. Riprende la parola. Non può non rispondere, dinanzi a tanta fede. Lui che si era commosso per la fede della gente stanca che lo seguiva, per la fede del centurione, per la fede della Cananea, ora ha dinanzi a sé l’umanità che chiede la Pasqua, che vuole la Pasqua; che non crede nella morte, ma nella vita; che non vuole la tristezza, ma la gioia; che non è fatta per l’inferno, ma per il Paradiso.
Ecco cosa incarna il “buon ladrone”: il bene che non conosce confini, che supera i confini della terra, che dilata la vita umana sino a renderla, in Gesù, divina, eterna.
Non ha forza Gesù-uomo per intrattenere un lungo discorso con il ladrone che lo prega, ma il cuore di Dio riceve come un sussulto di gioia: Dio non è abbandonato, l’umanità ha bisogno di lui, lo cerca ancora. Non è vano il sacrificio della croce.
«Oggi sarai con me nel Paradiso» (Lc 23, 43). C’è tutto in questa risposta di Gesù. «Oggi». È così annunziato un nuovo inizio: l’accesso all’eternità per tutti gli uomini. Un nuovo tempo, che non va rinviato. Non domani, non quando sarà risorto. «Oggi».: è il metro di Dio, la sola misura del tempo divino. L’eternità è nel presente, l’eternità è Gesù sempre vivo.
Come non ammirare il buon ladrone: che fede salda! Che agire stupendo! Vorremmo chiedergli: chi ti ha rivelato il segreto del regno di Gesù? Chi ti ha annunciato la sua potenza? Ecco: sei testimone del suo obbrobrio, insieme a Gesù tu sei crocifisso, eppure credi che nella sua gloria egli possa ricordarsi di te? Come sei giunto al punto che la tua voce annunzia la Pasqua, rinvia al cielo? Chi ti ha insegnato che egli apparirà sulla terra col suo regno? E dove hai visto la sua gloria che tu annunci? Chi ti ha ammaestrato sulla sua venuta, tu che ti rivolgi a lui con tanta fiducia, come a un re?
Come fai a parlare di Regno, come fai a riconoscerlo Re? E su chi domina? Dove sono gli strumenti del suo potere? Dov’è il suo popolo, se è rimasto solo? Dov’è la truppa che lo precede e lo serve? Ecco: tu vedi un uomo, affisso, inchiodato alla croce, spoglio e nudo, disteso e sfinito, percosso e crocifisso: come sei giunto al punto di cercare dietro tutto ciò un regno? Sei veramente convinto che egli può garantirti ciò di cui lo preghi, egli, che è privo di ogni mezzo? Chi ti ha detto qualcosa della ricchezza di Gesù, della quale tu vuoi impossessarti? Chi ti ha istruito sul suo regno, per il quale lo preghi? Chi ti ha manifestato che è un re, dato che lo sai? E che voce ti ha spinto alla professione di fede, mentre egli è affisso in croce? Lo contempli lacerato dai dolori più acerbi: dove vedi tu il re straziato a morte dai suoi sudditi?
Cosa risponde il ladrone da noi interrogato? “Sì, io so che Gesù è un re e non rigetterà la mia preghiera! Nell’aula del tribunale l’ho sentito chiaro e forte da lui stesso, quando fu interrogato dal giudice. Quando gli chiese se fosse un re; Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18, 36). E Pilato soggiunse: «Dunque tu dichiari di essere un re» (Gv 18, 37). Queste parole m’hanno rivelato la sua regalità. Che sia un re l’ho saputo da Gesù stesso; le sue parole hanno acceso in me una luce che ora arde possente; brucia in me la fede e l’amore. E anche della sua gloria, per la quale io ora lo supplico, Gesù stesso mi ha messo al corrente: da Lui, infatti, ho udito che verrà un giorno nella gloria. Quando il sommo sacerdote si strappò le vesti, allora io indossai il nuovo abito della fede. Ho visto in Lui, mentre tutti lo oltraggiavano, una gloria misteriosa, che nessun uomo potrebbe avere. E in quella gloria io credo che Egli apparirà, in un altro mondo, dove egli è re, in tutta maestà. Ecco: ora la natura è muta e sconvolta, i morti si agitano nelle tombe, il sole è scomparso, la luna è fuggita, il terremoto scuote la terra, le rocce si sono spezzate, i sepolcri si aprono: tutto testimonia la sua regalità, tutto testimonia che Gesù è Dio”.
Passione di Cristo, ragione della nostra fierezza
La Passione di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è una testimonianza di gloria e un insegnamento di pazienza e di speranza. Ma se Cristo è risorto, cosa dobbiamo temere? Che cosa non deve aspettarsi dalla grazia divina il cuore di chi crede? Quanto sono grandi le promesse del Signore! Gesù ha offerto per noi la sua morte: chi mai potrebbe dubitare che darà ai credenti anche la sua vita? Perché la debolezza umana esita a credere che verrà un giorno in cui gli uomini vivranno con Dio?
Un invito chiaro ad “alzare la testa” ci è rivolto da Agostino: “Non solo non dobbiamo provare vergogna per la morte di Dio nostro Signore, ma dobbiamo ricavarne la più grande fiducia e la più grande fierezza. Nel ricevere da noi la morte che ha trovato in noi, ci ha fedelmente promesso di darci la vita in lui, quella vita che non potevamo avere da noi stessi. E se colui che è senza peccato ci ha amati al punto da subire per noi, peccatori, ciò che avremmo meritato per il nostro peccato, come potrà non darci ciò che è giustizia, lui che ci giustifica e ci discolpa? Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha subìto la pena dei colpevoli? Riconosciamo senza timori, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi. Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con fierezza. L’apostolo Paolo l’ha visto, lui che ne ha fatto un titolo di gloria. Dopo aver rammentato le grandi e numerose grazie ricevute da Cristo, non dice che si vanta di queste meraviglie, bensì afferma: «Quanto a me, non sia mai che mi giovi d’altro se non della croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6, 14)” (in “Discorso” 218/C sulla passione del Signore).
Pasqua, morte e risurrezione di Gesù. Il Cristo ha distrutto la morte, trionfato sul nemico, calpestato l’inferno, incatenato il potente, sollevato l’uomo verso l’alto dei cieli. Gesù, il nostro riscatto, la nostra vita, la nostra risurrezione, la nostra luce, la nostra salvezza, il nostro re. Lui ci conduce nell’alto dei cieli, ci mostra il Padre e il Regno immortale.
|