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Il Rinnovamento al Congresso Eucaristico Nazionale

Bari, 26-27 maggio 2005

 


Congresso Eucaristico Nazionale - Bari 2005All'interno delle giornate del Congresso Eucaristico Nazionale, svoltosi a Bari nell'ultima decade di maggio, non sono mancati - come preannunciato - alcuni momenti che hanno coinvolto in maniera particolare il Rinnovamento nello Spirito Santo.

 

Giovedì 26 notte, in Piazza S. Nicola nel cuore di Bari, Clicca per ingrandire...prevista dal programma ufficiale del Congresso Eucaristico Nazionale, si è svolta una Adorazione Eucaristica presieduta da S.E. Mons. Domenico Padovano, Vescovo di Conversano-Monopoli. L'animazione è stata affidata al Servizio Nazionale Musica e Canto e al Ministero Nazionale di Animazione della Preghiera del Rinnovamento nello Spirito Santo. Tra le migliaia di persone presenti, di tutte le realtà ecclesiali, era ben evidente la viva e calorosa partecipazione di tantissimi fratelli e sorelle del nostro movimento.

 

Il giorno successivo, venerdì 27, presso la Fiera del Levante, sì è tenuto l'atteso Incontro sul Laicato, presieduto dall'Inviato del Santo Padre, S.E. Card. Camillo Ruini, e moderato da Dino Boffo, direttore di Avvenire.

Sono intervenuti: Paola Bignardi, di Azione Cattolica Italiana; Don Julian Carron, di Comunione e Liberazione; Giampiero Donnini, del Cammino Neocatecumenale; Gino Doveri, della Consulta Nazionale Aggregazioni Laicali; Antonietta Giorleo, del Movimento dei Focolari; Salvatore Martinez, Coordinatore Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo; Andrea Riccardi, della Comunità di Sant'Egidio; Chiara Sapigni, dell'Agesci; Giuseppe Savagnore, della Arcidiocesi di Palermo.

 

Oltre 7.000 i partecipanti, in rappresentanza delle principali realtà laicali nel nostro paese, hanno affollato l'area del Convegno. Il Rinnovamento era rappresentato dal Consiglio Nazionale al completo e da tantissimi fratelli e sorelle provenienti da diverse regioni.

 

Nel suo intervento - riportato integralmente in fondo alla pagina - Salvatore Martinez ha esordito richiamando l’attenzione su questa nuova stagione del laicato cattolico, contraddistinto dal reciproco apprezzamento dei carismi dell’altro. “La nostra amicizia è un’amicizia che continua. E proprio a noi laici cristiani è affidata in modo speciale la custodia della domenica”.

“Lo Spirito Santo - ha ribadito Martinez -  sta soffiando negli ultimi tempi il desiderio di annunciare la festa con gioia; infatti occorre rieducare alla gioia, perché sia alimento quotidiano della festa cristiana”.

In una intervista successiva Salvatore Martinez a proposito del referendum ha ribadito che “in gioco c’è la sacralità della vita”.

La legge 40, aggiunge, “è legittima e attende di essere ancora sperimentata. Questa operazione non rende giustizia all’intelligenza di coloro che l’hanno votata e che dovrebbero garantirne l’applicazione. I cattolici - ha concluso Martinez citando Giovanni Paolo II - hanno il dovere di astenersi quando ritengono che una legge, già non pienamente conforme alla dottrina sociale della Chiesa, potrebbe essere modificata in senso peggiorativo”.

 

Inoltre, presso gli stand riservati alla distribuzione editoriale era disponibile la nuova edizione elegante e cartonata dell'ultimo libro a cura Salvatore Martinez presentato a Rimini nel corso della XXVIII Convocazione Nazionale RnS: Il Vangelo dello Spirito Santo in Giovanni Paolo II.

 

Sempre venerdì 27, nel pomeriggio, in contemporanea ai tre incontri in programma sul Ministero Ordinato, sulla Vita Consacrata e sulla Ricerca Vocazionale, si è svolto un incontro di preghiera comunitaria carismatica aperto a tutti, organizzato dal Rinnovamento presso la Parrocchia S. Marcello nel centro di Bari, animato dal ministero della musica e canto diocesano insieme al ministero nazionale dell'animazione della preghiera.

 

Riportiamo, a seguire, l'intervento di Salvatore Martinez all'Incontro sul Laicato.

 


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“I laici cristiani / nel giorno della Domenica / animati da Cristo incontrato nell’Eucaristia / come possono valorizzare la festa nella dinamica ecclesiale, quindi come giorno della Chiesa / ma anche come spazio di vita condivisa con altri uomini e donne e quindi in una prospettiva di estroversione missionaria”.

 

 

XXIV Congresso Eucaristico Nazionale - Bari 2005

 

Intervento di Salvatore Martinez

Coordinatore nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo

 

I laici cristiani

 

La parola cristiano accostata a laico segnala una missione unica: dare al mondo l’amore di Cristo. Un’opera ardua, per la quale è richiesta l’interazione di quanti hanno a cuore lo stesso scopo. È questa la ragione per la quale la parola “laico” deve declinarsi al plurale. Nella nozione di “laicato” è gia inscritta e dovrà sempre più manifestarsi la collaborazione sincera tra i diversi carismi, come del resto va sempre più concretandosi dalla Pentecoste del 1998 celebrata con il compianto Papa Giovanni Paolo II.

 

Clicca per ingrandire...Ma ancor prima, la parola cristiano accostata a laico rivela una fonte ispiratrice: si tratta della Persona dello Spirito Santo. Nessuno può “dirsi cristiano, di Cristo”, nessuno può “dire Cristo”, nessuno può “dare Cristo” senza esperimentare la docile sottomissione allo Spirito Santo, alle sue imprevedibili effusioni, alle sue mozioni interiori.

 

È lo Spirito Santo che rende efficace il Vangelo dei laici nel duplice registro della “compromissione e missione” cristiana; è lo Spirito Santo che salva il laicato cristiano da ogni insidia di laicismo, da ogni tentazione di appagamento, di normalizzazione della testimonianza che siamo chiamati a rendere, fedelmente, a Cristo e al suo Vangelo.

 

In questa luce è possibile comprendere l’espressione postconciliare “christifideles laici”, uomini e donne fedelmente impegnati, che non hanno vergogna di confessare pubblicamente e responsabilmente l’unicità della loro fede; laici capaci di dinamismo profetico in un tempo smemorato, laici capaci di assicurare pensiero, animazione e vitalità alla Chiesa.

 

Scrisse un giorno don Tonino Bello, Vescovo amato di questa terra di Puglia: “Oggi è in calo il fattore sorpresa, non ci sorprendiamo più. Non ci si esalta più per nulla. Le stesse novità di Dio stentiamo anche noi a percepirle” (in “Cirenei della gioia”). Ebbene, per i laici cristiani del nostro Paese è tempo di stupore, non di inefficaci ripensamenti; il laicato italiano si è avviato verso una stagione di maturità e di reciproco apprezzamento delle diversità. Questo è già di per sé un “atto eucaristico”, un motivo per dire grazie allo Spirito Santo, che prepara tempi nuovi e ha il potere di fare per noi, ogni momento – come cantiamo nel Magnificat – “grandi cose” (cf Lc 1, 49).

 

Nel giorno della Domenica

 

Ai laici cristiani impegnati è affidata, in modo speciale, la custodia della Domenica. Dovremmo poter dire della Domenica: è la nostra stessa vita.

 

Clicca per ingrandire...Guardando alla nostra esperienza, alle migliaia di persone che incontriamo nel comune cammino di rinnovamento, dobbiamo constatare che manca alla Domenica di tanti battezzati quella disciplina comunitaria del cuore alla quale lo Spirito conduce ed educa le nostre Chiese.

 

Questa “disciplina comunitaria del cuore” è la sola che salva dall’anonimato le nostre assemblee, che salva dalla solitudine o dall’individualismo religioso il corpo ecclesiale.

 

Guardare alla Domenica, cuore della nostra fede cattolica, significa anche guardare al cuore di quel corpo che è la Chiesa, un cuore che va preservato da ogni aridità spirituale, perché la Domenica non sia il giorno della ripetizione stanca, piuttosto della ripresentazione di un Gesù sempre nuovo, l’espressione di un amore da vivere come se fosse “l’ultima volta consentita”, il giorno dell’armonia e della bellezza che scaturiscono dalla volontà di non stancarsi di amare Cristo e di rendere visibile questo amore tra i fratelli.

 

“Perché l’anima”, ripeteva S. Caterina da Siena, “non può vivere senza amore”. Ecco perché non possiamo vivere senza la Domenica, perché non possiamo vivere senza il nostro Signore.

 

 

Animati da Cristo incontrato nell’Eucaristia

Parlando dell’Eucaristia il Santo Padre Benedetto XVI, nel giorno (7.5.05) in cui ha preso possesso della Cattedra in S. Giovanni, ha affermato: “Cristo si fa trafiggere il cuore di nuovo. Grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo e Cristo è vicino ad ognuno di noi, per sempre. Ognuno può chiamarLo; ognuno di noi può darGli del tu. Il Signore si trova sempre a portata di voce”.

Quanto conforto troviamo in queste parole! Attraverso l’Eucaristia possiamo dare “del tu” al Signore che si trova “a portata di voce”, che chiama e vuole esercitare su ogni uomo il suo fascino. Chiama e richiama! Nessuno, lo gridò la donna Samaritana ad un paese intero, nessuno come Gesù sa usare la lingua del vero amore.

 

Eucaristia, una lingua misteriosa, ma che improvvisamente tutti possono ascoltare e comprendere.

 

Clicca per ingrandire...Come non ringraziare il Signore per tutte le corrispondenze d’amore che in questi benedetti anni di cammino i nostri occhi hanno ammirato. “Quante vite cambiate in profondità! Quante persone, adorando il Signore, hanno potuto sperimentare nella propria vita la stupefacente potenza dello Spirito e dei suoi carismi! Quante persone hanno riscoperto la fede, il gusto della preghiera, la forza e la bellezza della Parola di Dio, traducendo tutto ciò in un generoso servizio alla missione della Chiesa!” (Lettera autografa di Giovanni Paolo II al RnS, 1998).

 

Eucaristia, prodigiosa scuola di bellezza e inesauribile fonte di guarigione da tanti mali fisici e spirituali, quanto più impresentabili, tormentate, afflitte sono le anime che si pongono faccia a faccia con il Signore.

 

Chi sta alla presenza viva di Gesù e varca la soglia del suo cuore, non può più essere ozioso, sperduto, disperato. Quel Corpo vivente innalzato dinanzi al nostro sguardo ci ricorda che il cristiano è un essere in comunione e ci spinge a dire: vale la pena di vivere, di cercare, di soffrire, di impegnarsi per gli altri. Perché – come affermava Pio XII -  “l’Eucaristia è la professione pratica di tutto il cristianesimo”.

 

 

Come possono valorizzare la festa nella dinamica ecclesiale, quindi come giorno della Chiesa

 

Qualche parola sul senso della festa nella sensibilità propria della nostra esperienza ecclesiale.

 

Vorrei così introdurvi nel registro mai sufficientemente espresso della Pentecoste.

 

Non c’è festa senza la Pentecoste, perché è nella Pentecoste la pienezza di ogni festa. A Pentecoste lo Spirito inaugurò la prima grande festa interculturale e interrazziale, assegnando alla Domenica il suo carattere universale ed ecumenico.

 

Pentecoste è la festa della Chiesa, perché a Pentecoste nasce il popolo di Dio e in esso l’espressione del laicato cristiano con tutte le sue inesauribili forze carismatiche. A Pentecoste ricorre la prima grande festa del laicato cristiano.

 

Clicca per ingrandire...Ma Pentecoste è anche la festa delle diversità riconciliate, è l’esaltazione divina dell’unità nella multiformità, per la missione. Ecco perché è la festa di tutti e di ciascuno, perché “lo Spirito è tutto a tutti e a ciascuno è data una manifestazione particolare per l’utilità comune”, come ricorda S. Paolo ai Corinzi (cf 1 Cor 12, 4-7).

 

Pentecoste è la festa in cui il festeggiato – Cristo Signore – anziché ricevere regali, regala lo Spirito e con esso i doni spirituali, le varietà di lingue, di carismi, di ministeri che rendono la Chiesa sempre adorna e pronta per il suo Sposo.

 

Diceva Paolo VI: “Non ci sfugga la bellezza, la potenza, il gaudio di questa festa. Pentecoste: festa offerta ad ogni vivente, la festa per eccellenza, una festa a cui ciascuno deve sentirsi chiamato”(6.6.1976).

 

Il tempo della festa è il tempo della gioia, dell’entusiasmo, della contemplazione dei prodigi elargiti da Dio.

 

Più si diffonde gioia, più si è gioiosi! La gioia è l’autentica della nostra fede, specie quando è segnata dalle prove, dalla sofferenza, dall’accoglienza della croce. “La nostra gioia è il miglior mezzo per predicare il cristianesimo” (Beata Teresa di Calcutta).

 

Sbaglia chi pensa che la gioia sia assenza di dolore, confondendola con la spensieratezza o con l’evasione dalla realtà. La gioia cristiana non è allegria esteriore, rumorosa, dimentica dei drammi del mondo; è olio di letizia sulle ferite del mondo; è balsamo che dà vigore ai corpi stanchi e alle menti offuscate. È la gioia di chi sa, perché ha visto e ha toccato con mano l’amore. Ecco perché è gioia vera. È il segno di una vita nuova e un convincente mezzo per evangelizzare.

 

Nella preghiera comunitaria carismatica e nel progetto di adorazione comunitaria “Roveto Ardente” ci è dato d’apprendere il senso della festa mediante la pedagogia della gioia; una pedagogia di preghiera che conosce gli accenti del giubilo e altre volte del silenzio profondo misto a stupore; che talvolta inebria di gioia fino alla danza e altre ancora spinge al pianto e alla penitenza.

 

Ma c’è bisogno di un paziente sforzo di educazione alla gioia, perché sia alimento quotidiano della festa cristiana. “Imparare o reimparare a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che Dio mette già sul nostro cammino: gioia dell’esistenza e della vita; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia austera del lavoro; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente del servizio e della partecipazione; gioia esigente del sacrificio” (Gaudete in Domino, 1).

 

Parlare di festa, di gioia cristiana non può farci dimenticare l’importanza di ridare alla nostra vita interiore lo spessore della corporeità. Le persone sono corpo, siamo corpo e anima. Siamo realtà tangibili. La nostra esperienza di fede è fatta di espressioni corporee, che non rifuggono dai sentimenti, dalle emozioni, dai gesti semplici dei piccoli, dalle richieste di protezione dei più deboli, dall’accompagnamento degli ammalati, dall’accoglienza di quanti sono stati preda del male che è nel mondo e ora cercano la pace nella Chiesa. 

 

Un impegno non sempre compreso, ma sempre specialmente benedetto dal Signore, che in ciascuno di questi volti e nei gesti richiesti per regalare gioia ci ha detto di voler essere incontrato e servito.

 

 

Ma anche come spazio di vita condivisa con altri uomini e donne e quindi in una prospettiva di estroversione missionaria ”.

 

Scriveva Erich Fromm: “Chi ha Dio per centro, ha l’universo per circonferenza”. Lo Spirito ci spinge a vivere un continuo esodo dalle nostre certezze, dai nostri appagamenti ecclesiali e accettare la sfida dell’estroversione missionaria, una meravigliosa avventura di fede che amiamo definire, con una espressione coniata da Giovanni Paolo II, “cultura della Pentecoste”.

 

Due osservazioni, per concludere, su questa “Cultura della Pentecoste” e sul contributo fondamentale che da essa deriva perché s’instauri la civiltà dell’amore.

 

La prima: l’importanza di riscoprire il carisma della compassione come segno della nuova evangelizzazione.

 

Oggi il modo migliore, inequivocabile, per annunciare l’amore di Dio è riconiugare la parola amore con compassione. La parola amore è divenuta una delle parole più equivoche in circolazione, perdendo la sua originalità cristiana. Si usa la parola amore per esprimere ciò che è il suo contrario.

 

È definito un atto d’amore, ad esempio, giustificare la soppressione della vita per non vedere soffrire il proprio parente.

È considerato un atto d’amore giustificare la rottura di un matrimonio quando si mette fine alle tante sofferenze della coppia.

È ritenuto un atto d’amore giustificare l’interruzione di una gravidanza, perché al nascituro potrebbe essere procurata una vita difficile.

 

Dov’è la compassione, dov’è il bene, dov’è finito Cristo e la sua croce? L’amore è donazione, non privazione; è offerta, non rinuncia; è vita, non morte; è dialogo, non rifiuto egoista.

 

Solo Cristo conosce il linguaggio del cuore che manca al mondo. La compassione cristiana è la “lingua materna” dell’umanità: tutti la capiscono, tutti possono comunicare attraverso di essa, perché gli uomini non possono vivere senza amore e noi, diceva Edith Stein “siamo al mondo per servire l’umanità”.

 

Secondo aspetto legato alla testimonianza di una “cultura della Pentecoste”: la cultura della Pentecoste è l’esatto contrario della cultura del relativismo.

 

Lo Spirito ci spinge a confessare che solo Dio è Dio, contro ogni relativismo pratico e teorico che sta ammorbando le menti di tanti cristiani e contrastando il passo evangelizzatore della Chiesa.

 

Come ha sostenuto coraggiosamente Benedetto XVI, sin dalle sue prime uscite, “il relativismo è diventato effettivamente il problema fondamentale della fede dei nostri giorni. È una sfida aperta”.

 

È una sfida aperta al senso eucaristico della storia. È una sfida aperta al genere umano che, quasi impazzito, non fa altro che contemplarsi narcisisticamente, affermando l’idolatria dell’io sull’adorazione di Dio.

 

Grida il mondo con i suoi richiami effimeri e distoglie il cuore dei credenti; ma ancora più forte grida l’amore di Dio nell’Eucaristia, un grido che ci scuote dal torpore nel quale spesso cade la nostra fede quando non si avvede del tentativo diabolico in atto di eliminare Dio dalla storia, di eliminare il divino dal cuore del mondo, della famiglia, di ogni uomo; finanche dal cuore di un bambino, se fosse possibile già sin dal suo concepimento.

 

Ecco perché ci poniamo responsabilmente a fianco di Papa Benedetto XVI, che sostiene la difesa della verità di Dio e della verità di Dio sull’uomo.

 

Desideriamo, così, essere espressione convinta di un cristianesimo che non disdegna lo “scandalo della fede”, che non teme l’intolleranza di coloro che si dicono tolleranti, di chi vorrebbe uniformare il nostro amore per il Vangelo ai modelli dominanti.

 

Grava su di noi, su noi tutti la responsabilità di dare alla nuova generazione ragioni vere, ragioni di vita, le ragioni dello Spirito. Lo Spirito, è certo, non ci abbandonerà. È scritto infatti: “La testimonianza di Gesù è lo Spirito di profezia” (Ap 19, 10).

 

Per questo Lo desideriamo, Lo invochiamo, perché ci renda pronti e con Lui operanti.   

 


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