All'interno
delle giornate del Congresso Eucaristico Nazionale, svoltosi a Bari
nell'ultima decade di maggio, non sono mancati - come preannunciato -
alcuni momenti che hanno coinvolto in maniera particolare il
Rinnovamento nello Spirito Santo.
Giovedì 26 notte, in
Piazza S. Nicola nel cuore di Bari,
prevista
dal programma ufficiale del Congresso Eucaristico Nazionale, si
è svolta una Adorazione Eucaristica
presieduta da S.E. Mons. Domenico Padovano, Vescovo di
Conversano-Monopoli. L'animazione è stata affidata al Servizio Nazionale Musica e Canto e al
Ministero Nazionale di Animazione della Preghiera del Rinnovamento nello
Spirito Santo. Tra le migliaia di persone presenti, di tutte le realtà
ecclesiali, era ben evidente la viva e calorosa partecipazione di tantissimi
fratelli e sorelle del nostro movimento.
Il giorno successivo,
venerdì 27, presso la Fiera del Levante,
sì è tenuto l'atteso Incontro
sul Laicato, presieduto dall'Inviato del Santo Padre, S.E. Card.
Camillo Ruini, e moderato da Dino Boffo, direttore di Avvenire.
Sono intervenuti: Paola Bignardi,
di Azione Cattolica Italiana; Don
Julian Carron, di Comunione e Liberazione; Giampiero Donnini,
del Cammino Neocatecumenale; Gino Doveri, della Consulta Nazionale
Aggregazioni Laicali; Antonietta
Giorleo, del Movimento dei Focolari;
Salvatore Martinez, Coordinatore
Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo; Andrea
Riccardi, della Comunità di Sant'Egidio; Chiara Sapigni, dell'Agesci;
Giuseppe Savagnore,
della Arcidiocesi di Palermo.
Oltre 7.000 i partecipanti,
in rappresentanza delle principali realtà laicali nel nostro paese, hanno
affollato l'area del Convegno. Il Rinnovamento era rappresentato dal
Consiglio Nazionale al completo e da tantissimi fratelli e sorelle
provenienti da diverse regioni.
Nel suo intervento -
riportato integralmente in fondo alla pagina - Salvatore Martinez ha
esordito richiamando l’attenzione su questa nuova stagione del laicato
cattolico, contraddistinto dal reciproco apprezzamento dei carismi
dell’altro. “La nostra amicizia è un’amicizia che continua. E proprio a
noi laici cristiani è affidata in modo speciale la custodia della
domenica”.
“Lo Spirito Santo -
ha ribadito Martinez - sta soffiando negli ultimi tempi il
desiderio di annunciare la festa con gioia; infatti occorre rieducare alla
gioia, perché sia alimento quotidiano della festa cristiana”.
In una intervista successiva
Salvatore Martinez a proposito del referendum ha ribadito che “in gioco
c’è la sacralità della vita”.
La legge 40, aggiunge, “è
legittima e attende di essere ancora sperimentata. Questa operazione non
rende giustizia
all’intelligenza
di coloro che l’hanno votata e che dovrebbero garantirne l’applicazione. I
cattolici - ha concluso Martinez citando Giovanni Paolo II - hanno
il dovere di astenersi quando ritengono che una legge, già non pienamente
conforme alla dottrina sociale della Chiesa, potrebbe essere modificata in
senso peggiorativo”.
Inoltre, presso gli stand
riservati alla distribuzione editoriale era disponibile la nuova edizione elegante e cartonata
dell'ultimo libro a cura Salvatore Martinez presentato a Rimini nel corso
della XXVIII Convocazione Nazionale RnS: Il Vangelo dello Spirito Santo
in Giovanni Paolo II.
Sempre venerdì 27,
nel pomeriggio,
in contemporanea ai tre incontri in programma
sul Ministero Ordinato, sulla Vita Consacrata e sulla Ricerca Vocazionale,
si è svolto un incontro di preghiera comunitaria carismatica aperto
a tutti, organizzato
dal Rinnovamento presso la Parrocchia S. Marcello
nel
centro di Bari, animato dal ministero della musica e canto diocesano
insieme al ministero nazionale dell'animazione della preghiera.
Riportiamo, a seguire,
l'intervento di Salvatore Martinez all'Incontro sul Laicato.
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“I laici cristiani
/ nel giorno della Domenica / animati da Cristo incontrato
nell’Eucaristia / come possono valorizzare la festa nella dinamica
ecclesiale, quindi come giorno della Chiesa / ma anche come spazio
di vita condivisa con altri uomini e donne e quindi in una
prospettiva di estroversione missionaria”.
XXIV
Congresso Eucaristico Nazionale - Bari 2005
Intervento di
Salvatore Martinez
Coordinatore
nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo
I laici cristiani
La parola cristiano
accostata a laico segnala una missione unica: dare al mondo
l’amore di Cristo. Un’opera ardua, per la quale è richiesta
l’interazione di quanti hanno a cuore lo stesso scopo. È questa la
ragione per la quale la parola “laico” deve declinarsi al plurale.
Nella nozione di “laicato” è gia inscritta e dovrà sempre più
manifestarsi la collaborazione sincera tra i diversi carismi, come
del resto va sempre più concretandosi dalla Pentecoste del 1998
celebrata con il compianto Papa Giovanni Paolo II.
Ma
ancor prima, la parola cristiano accostata a laico
rivela una fonte ispiratrice: si tratta della Persona dello Spirito
Santo. Nessuno può “dirsi cristiano, di Cristo”, nessuno può “dire
Cristo”, nessuno può “dare Cristo” senza esperimentare la docile
sottomissione allo Spirito Santo, alle sue imprevedibili effusioni,
alle sue mozioni interiori.
È lo Spirito Santo che
rende efficace il Vangelo dei laici nel duplice registro della
“compromissione e missione” cristiana; è lo Spirito Santo che salva
il laicato cristiano da ogni insidia di laicismo, da ogni tentazione
di appagamento, di normalizzazione della testimonianza che siamo
chiamati a rendere, fedelmente, a Cristo e al suo Vangelo.
In questa luce è
possibile comprendere l’espressione postconciliare “christifideles
laici”, uomini e donne fedelmente impegnati, che non hanno vergogna
di confessare pubblicamente e responsabilmente l’unicità della loro
fede; laici capaci di dinamismo profetico in un tempo smemorato,
laici capaci di assicurare pensiero, animazione e vitalità alla
Chiesa.
Scrisse un giorno don
Tonino Bello, Vescovo amato di questa terra di Puglia: “Oggi è in
calo il fattore sorpresa, non ci sorprendiamo più. Non ci si esalta
più per nulla. Le stesse novità di Dio stentiamo anche noi a
percepirle” (in “Cirenei della gioia”). Ebbene, per i laici
cristiani del nostro Paese è tempo di stupore, non di inefficaci
ripensamenti; il laicato italiano si è avviato verso una stagione di
maturità e di reciproco apprezzamento delle diversità. Questo è già
di per sé un “atto eucaristico”, un motivo per dire grazie allo
Spirito Santo, che prepara tempi nuovi e ha il potere di fare per
noi, ogni momento – come cantiamo nel Magnificat – “grandi cose”
(cf Lc 1, 49).
Nel giorno della
Domenica
Ai laici cristiani
impegnati è affidata, in modo speciale, la custodia della Domenica.
Dovremmo poter dire della Domenica: è la nostra stessa vita.
Guardando
alla nostra esperienza, alle migliaia di persone che incontriamo nel
comune cammino di rinnovamento, dobbiamo constatare che manca alla
Domenica di tanti battezzati quella disciplina comunitaria del
cuore alla quale lo Spirito conduce ed educa le nostre Chiese.
Questa “disciplina
comunitaria del cuore” è la sola che salva dall’anonimato le nostre
assemblee, che salva dalla solitudine o dall’individualismo
religioso il corpo ecclesiale.
Guardare alla
Domenica, cuore della nostra fede cattolica, significa anche
guardare al cuore di quel corpo che è la Chiesa, un cuore che va
preservato da ogni aridità spirituale, perché la Domenica non sia il
giorno della ripetizione stanca, piuttosto della ripresentazione di
un Gesù sempre nuovo, l’espressione di un amore da vivere come se
fosse “l’ultima volta consentita”, il giorno dell’armonia e della
bellezza che scaturiscono dalla volontà di non stancarsi di amare
Cristo e di rendere visibile questo amore tra i fratelli.
“Perché l’anima”,
ripeteva S. Caterina da Siena, “non può vivere senza amore”.
Ecco perché non possiamo vivere senza la Domenica, perché non
possiamo vivere senza il nostro Signore.
Animati da Cristo
incontrato nell’Eucaristia
Parlando dell’Eucaristia il Santo Padre Benedetto XVI, nel giorno
(7.5.05) in cui ha preso possesso della Cattedra in S. Giovanni, ha
affermato: “Cristo si fa trafiggere il cuore di nuovo. Grazie
all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo e Cristo è vicino
ad ognuno di noi, per sempre. Ognuno può chiamarLo; ognuno di noi
può darGli del tu. Il Signore si trova sempre a portata di voce”.
Quanto conforto
troviamo in queste parole! Attraverso l’Eucaristia possiamo dare
“del tu” al Signore che si trova “a portata di voce”, che chiama e
vuole esercitare su ogni uomo il suo fascino. Chiama e richiama!
Nessuno, lo gridò la donna Samaritana ad un paese intero, nessuno
come Gesù sa usare la lingua del vero amore.
Eucaristia, una lingua
misteriosa, ma che improvvisamente tutti possono ascoltare e
comprendere.
Come
non ringraziare il Signore per tutte le corrispondenze d’amore che
in questi benedetti anni di cammino i nostri occhi hanno ammirato.
“Quante vite cambiate in profondità! Quante persone, adorando il
Signore, hanno potuto sperimentare nella propria vita la
stupefacente potenza dello Spirito e dei suoi carismi! Quante
persone hanno riscoperto la fede, il gusto della preghiera, la forza
e la bellezza della Parola di Dio, traducendo tutto ciò in un
generoso servizio alla missione della Chiesa!” (Lettera
autografa di Giovanni Paolo II al RnS, 1998).
Eucaristia, prodigiosa
scuola di bellezza e inesauribile fonte di guarigione da tanti mali
fisici e spirituali, quanto più impresentabili, tormentate, afflitte
sono le anime che si pongono faccia a faccia con il Signore.
Chi sta alla presenza
viva di Gesù e varca la soglia del suo cuore, non può più essere
ozioso, sperduto, disperato. Quel Corpo vivente innalzato dinanzi al
nostro sguardo ci ricorda che il cristiano è un essere in comunione
e ci spinge a dire: vale la pena di vivere, di cercare, di soffrire,
di impegnarsi per gli altri. Perché – come affermava Pio XII -
“l’Eucaristia è la professione pratica di tutto il cristianesimo”.
Come possono
valorizzare la festa nella dinamica ecclesiale, quindi come giorno
della Chiesa
Qualche parola sul
senso della festa nella sensibilità propria della nostra esperienza
ecclesiale.
Vorrei così introdurvi
nel registro mai sufficientemente espresso della Pentecoste.
Non c’è festa senza
la Pentecoste, perché è nella Pentecoste la pienezza di ogni
festa. A Pentecoste lo Spirito inaugurò la prima grande festa
interculturale e interrazziale, assegnando alla Domenica il suo
carattere universale ed ecumenico.
Pentecoste è la festa
della Chiesa, perché a Pentecoste nasce il popolo di Dio e in esso
l’espressione del laicato cristiano con tutte le sue inesauribili
forze carismatiche. A Pentecoste ricorre la prima grande festa del
laicato cristiano.
Ma
Pentecoste è anche la festa delle diversità riconciliate, è
l’esaltazione divina dell’unità nella multiformità, per la missione.
Ecco perché è la festa di tutti e di ciascuno, perché “lo Spirito
è tutto a tutti e a ciascuno è data una manifestazione particolare
per l’utilità comune”, come ricorda S. Paolo ai Corinzi (cf 1
Cor 12, 4-7).
Pentecoste è la festa
in cui il festeggiato – Cristo Signore – anziché ricevere regali,
regala lo Spirito e con esso i doni spirituali, le varietà di
lingue, di carismi, di ministeri che rendono la Chiesa sempre adorna
e pronta per il suo Sposo.
Diceva Paolo VI:
“Non ci sfugga la bellezza, la potenza, il gaudio di questa festa.
Pentecoste: festa offerta ad ogni vivente, la festa per eccellenza,
una festa a cui ciascuno deve sentirsi chiamato”(6.6.1976).
Il tempo della festa è
il tempo della gioia, dell’entusiasmo, della contemplazione
dei prodigi elargiti da Dio.
Più si diffonde gioia,
più si è gioiosi! La gioia è l’autentica della nostra fede, specie
quando è segnata dalle prove, dalla sofferenza, dall’accoglienza
della croce. “La nostra gioia è il miglior mezzo per predicare il
cristianesimo” (Beata Teresa di Calcutta).
Sbaglia chi pensa che
la gioia sia assenza di dolore, confondendola con la spensieratezza
o con l’evasione dalla realtà. La gioia cristiana non è allegria
esteriore, rumorosa, dimentica dei drammi del mondo; è olio di
letizia sulle ferite del mondo; è balsamo che dà vigore ai corpi
stanchi e alle menti offuscate. È la gioia di chi sa, perché ha
visto e ha toccato con mano l’amore. Ecco perché è gioia vera. È il
segno di una vita nuova e un convincente mezzo per evangelizzare.
Nella preghiera
comunitaria carismatica e nel progetto di adorazione comunitaria
“Roveto Ardente” ci è dato d’apprendere il senso della festa
mediante la pedagogia della gioia; una pedagogia di preghiera che
conosce gli accenti del giubilo e altre volte del silenzio profondo
misto a stupore; che talvolta inebria di gioia fino alla danza e
altre ancora spinge al pianto e alla penitenza.
Ma c’è bisogno di un
paziente sforzo di educazione alla gioia, perché sia alimento
quotidiano della festa cristiana. “Imparare o reimparare a
gustare semplicemente le molteplici gioie umane che Dio mette già
sul nostro cammino: gioia dell’esistenza e della vita; gioia
pacificante della natura e del silenzio; gioia austera del lavoro;
gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente del
servizio e della partecipazione; gioia esigente del sacrificio” (Gaudete
in Domino, 1).
Parlare di festa, di
gioia cristiana non può farci dimenticare l’importanza di ridare
alla nostra vita interiore lo spessore della corporeità. Le
persone sono corpo, siamo corpo e anima. Siamo realtà tangibili. La
nostra esperienza di fede è fatta di espressioni corporee, che non
rifuggono dai sentimenti, dalle emozioni, dai gesti semplici dei
piccoli, dalle richieste di protezione dei più deboli,
dall’accompagnamento degli ammalati, dall’accoglienza di quanti sono
stati preda del male che è nel mondo e ora cercano la pace nella
Chiesa.
Un impegno non sempre
compreso, ma sempre specialmente benedetto dal Signore, che in
ciascuno di questi volti e nei gesti richiesti per regalare gioia ci
ha detto di voler essere incontrato e servito.
Ma anche come
spazio di vita condivisa con altri uomini e donne e quindi in una
prospettiva di estroversione missionaria ”.
Scriveva Erich Fromm: “Chi ha Dio per centro, ha l’universo per
circonferenza”. Lo Spirito ci spinge a vivere un continuo esodo
dalle nostre certezze, dai nostri appagamenti ecclesiali e accettare
la sfida dell’estroversione missionaria, una meravigliosa avventura
di fede che amiamo definire, con una espressione coniata da Giovanni
Paolo II, “cultura della Pentecoste”.
Due osservazioni, per concludere, su questa “Cultura della
Pentecoste” e sul contributo fondamentale che da essa deriva perché
s’instauri la civiltà dell’amore.
La prima: l’importanza di riscoprire il carisma della compassione
come segno della nuova evangelizzazione.
Oggi il modo migliore, inequivocabile, per annunciare l’amore di Dio
è riconiugare la parola amore con compassione. La parola amore è
divenuta una delle parole più equivoche in circolazione, perdendo la
sua originalità cristiana. Si usa la parola amore per esprimere ciò
che è il suo contrario.
È definito un atto
d’amore, ad esempio, giustificare la soppressione della vita per non
vedere soffrire il proprio parente.
È considerato un atto
d’amore giustificare la rottura di un matrimonio quando si mette
fine alle tante sofferenze della coppia.
È ritenuto un atto
d’amore giustificare l’interruzione di una gravidanza, perché al
nascituro potrebbe essere procurata una vita difficile.
Dov’è la compassione,
dov’è il bene, dov’è finito Cristo e la sua croce? L’amore è
donazione, non privazione; è offerta, non rinuncia; è vita, non
morte; è dialogo, non rifiuto egoista.
Solo Cristo conosce il
linguaggio del cuore che manca al mondo. La compassione cristiana è
la “lingua materna” dell’umanità: tutti la capiscono, tutti possono
comunicare attraverso di essa, perché gli uomini non possono vivere
senza amore e noi, diceva Edith Stein “siamo al mondo per servire
l’umanità”.
Secondo aspetto legato
alla testimonianza di una “cultura della Pentecoste”: la cultura
della Pentecoste è l’esatto contrario della cultura del relativismo.
Lo Spirito ci spinge a
confessare che solo Dio è Dio, contro ogni relativismo pratico e
teorico che sta ammorbando le menti di tanti cristiani e
contrastando il passo evangelizzatore della Chiesa.
Come ha sostenuto
coraggiosamente Benedetto XVI, sin dalle sue prime uscite, “il
relativismo è diventato effettivamente il problema fondamentale
della fede dei nostri giorni. È una sfida aperta”.
È una sfida aperta al
senso eucaristico della storia. È una sfida aperta al genere umano
che, quasi impazzito, non fa altro che contemplarsi
narcisisticamente, affermando l’idolatria dell’io sull’adorazione di
Dio.
Grida il mondo con i
suoi richiami effimeri e distoglie il cuore dei credenti; ma ancora
più forte grida l’amore di Dio nell’Eucaristia, un grido che ci
scuote dal torpore nel quale spesso cade la nostra fede quando non
si avvede del tentativo diabolico in atto di eliminare Dio dalla
storia, di eliminare il divino dal cuore del mondo, della famiglia,
di ogni uomo; finanche dal cuore di un bambino, se fosse possibile
già sin dal suo concepimento.
Ecco perché ci poniamo
responsabilmente a fianco di Papa Benedetto XVI, che sostiene la
difesa della verità di Dio e della verità di Dio sull’uomo.
Desideriamo, così,
essere espressione convinta di un cristianesimo che non disdegna lo
“scandalo della fede”, che non teme l’intolleranza di coloro che si
dicono tolleranti, di chi vorrebbe uniformare il nostro amore per il
Vangelo ai modelli dominanti.
Grava su di noi, su
noi tutti la responsabilità di dare alla nuova generazione ragioni
vere, ragioni di vita, le ragioni dello Spirito. Lo Spirito, è
certo, non ci abbandonerà. È scritto infatti: “La testimonianza
di Gesù è lo Spirito di profezia” (Ap 19, 10).
Per questo Lo
desideriamo, Lo invochiamo, perché ci renda pronti e con Lui
operanti.
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